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Rassegna giurisprudenziale 12 luglio 2017, a cura di Martina Costantino

12.03.2021 | News

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– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 15 giugno 2017, n. 14862.

La Corte di Cassazione è intervenuta su un caso di licenziamento intimato a un lavoratore che, durante l’orario lavorativo, navigava per lungo tempo su internet.

I motivi del ricorso addotti dal lavoratore si fondavano, prevalentemente, sull’asserita violazione degli artt. 7 (pubblicità del codice disciplinare) e 4 L. 300/1970. I Giudici di Legittimità, respingendo il ricorso, hanno chiarito quanto segue. Per quanto attiene l’art. 7 L. 300/1970, la Corte ha sottolineato che l’onere di pubblicità del codice disciplinare aziendale previsto dalla norma «[…] si applica al licenziamento disciplinare soltanto nei limiti in cui questo sia stato intimato per una delle specifiche ipotesi di comportamento illecito vietate e sanzionate con il provvedimento espulsivo da norme della contrattazione collettiva o da quelle validamente poste dal datore di lavoro – […] – e non anche quando, […] il datore di lavoro contesti un comportamento che, secondo quanto accertato in fatto dal giudice del merito, integri una violazione di una norma penale, o sia manifestamente contrario all’etica comune, ovvero concreti un grave o comunque notevole inadempimento dei doveri fondamentali connessi al rapporto di lavoro, quali sono gli obblighi di diligenza e di fedeltà prescritti dagli artt. 2104 e 2105 c. c., poiché in tali casi il potere di licenziamento deriva direttamente dalla legge». Per quanto riguarda invece l’art. 4 L. 300/1970, la Consulta ha ricordato che la norma non è applicabile nei casi di attività volta ad individuare la realizzazione di comportamenti illeciti dei dipendenti idonei a recare danno all’azienda.

–  CONTROLLI –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 22 maggio 2017, n. 12810.

È stato posto all’attenzione della Corte di Cassazione il licenziamento di un lavoratore che, al di fuori dell’orario lavorativo, prestava attività presso società concorrenti; il datore di lavoro era venuto a conoscenza dell’accaduto grazie all’ausilio di un’agenzia investigativa.

I Giudici hanno ritenuto che «se è precluso al datore di lavoro controllare o far controllare l’esecuzione della prestazione lavorativa, il controllo è invece giustificato non solo per l’avvenuta perpetrazione di illeciti e l’esigenza di verificarne il contenuto, ma anche in ragione del solo sospetto o della mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione».

La Corte, rigettando il ricorso del lavoratore, ha quindi sottolineato che il controllo demandato al datore di lavoro a un’agenzia investigativa non può ritenersi illegittimo ex artt. 2 e 3 L. 300/1970 dal momento che, essendo effettuato fuori dall’orario lavorativo, non riguarda l’adempimento della prestazione lavorativa, bensì un comportamento disciplinarmente rilevante che costituisce un inadempimento degli obblighi contrattuali fonte di danni per il datore di lavoro.

– TRASFERIMENTO –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 19 maggio 2017, n. 12729.

La Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso di una lavoratrice che rivendicava l’illegittimità del trasferimento intimatole dalla società datrice di lavoro. La dipendente, destinataria del trattamento previsto dalla L. 104/1992 a causa della malattia patita dalla madre, non aveva prestato il consenso al trasferimento e adiva i Giudici di Legittimità in forza dell’art. 33, comma 5, L. 104/1992.

La Corte, nel decidere la controversia, ha prima di tutto sottolineato che la disposizione citata «laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte». Fatta salva tale premessa, i Giudici rigettavano poi il ricorso, proprio perché ritenute accertate da parte del giudice di merito le effettive esigenze aziendali che fondavano il trasferimento.

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, 11 maggio 2017, n. 11568.

La Corte di Cassazione ha avuto modo di ribadire che l’istituto del trasferimento per incompatibilità ambientale nel pubblico impiego contrattualizzato è riconducibile alle ragioni tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 cod. civ. Nel caso di specie la Consulta rigettava il ricorso promosso da una dipendente comunale che veniva trasferita presso un altro ufficio, nel medesimo territorio comunale, per una situazione di tensione e conflittualità creatasi con gli altri colleghi.

Secondo la Corte, infatti, l’adozione dell’istituto trova fondamento nelle esigenze tecniche, organizzative e produttive di cui all’art. 2103 cod. civ., ed è subordinata ad una valutazione discrezionale dei fatti che possono fare ritenere nociva, per il prestigio ed il buon andamento dell’ufficio, l’ulteriore permanenza dell’impiegato in una determinata sede, senza alcun carattere disciplinare o sanzionatorio. Proprio la mancanza della caratteristica sanzionatoria fa sì che la legittimità del trasferimento prescinda dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari. In tali casi, «il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalità che la P.A. datrice di lavoro ha posto a suo fondamento: il controllo stesso non può essere esteso al merito della scelta organizzativa, né questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilità, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnicoorganizzativo o produttivo».

– TFR E PENSIONI –

Corte Costituzionale, 13 aprile 2017, n. 82.

La Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 3, comma 8, L. 297/1982, inerente la disciplina del trattamento di fine rapporto e le norme in materia pensionistica, «nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima».

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