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Il lavoro agile (o smart working) alla luce della disciplina approvata il 10 maggio 2017 – di Monica Serra, 30 maggio 2017

12.03.2021 | News

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Il 10 maggio 2017 è stato approvato dal Senato, in via definitiva, il Disegno di legge in tema di “tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato” che, tra gli altri, ha segnato l’ingresso nei nostro ordinamento del c.d. lavoro agile o “smart working”. Non si tratta di una nuova tipologia contrattuale, ma una modalità di esecuzione flessibile del rapporto di lavoro subordinato. Vediamo dunque più nel dettaglio la disciplina.

Come già può evincersi dal titolo del disegno di legge, questo si compone di due differenti parti: la prima mira ad ampliare le tutele disposte nei confronti dei liberi professionisti; la seconda, invece, si occupa di regolamentare il lavoro agile (meglio noto come “smart working”) quale nuova modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, svolta in parte all’interno e in parte fuori dall’azienda.

Posto che le norme sul lavoro agile hanno quale obiettivo quello di adeguare le tradizionali modalità di svolgimento del lavoro alle trasformazioni che sono state imposte  dall’avvento della tecnologia, ci soffermeremo proprio sull’analisi della disciplina dello smart working.

E’ ormai un dato certo, infatti, che il crescente utilizzo delle nuove tecnologie rende meno necessaria – per alcuni settori produttivi – la presenza fisica del lavoratore sul luogo di lavoro.

Così che, secondo l’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano, nel solo lavoro subordinato sarebbero oltre 250mila i lavoratori che godono di discrezionalità nella definizione delle modalità del lavoro in termini di luogo, orario e strumenti utilizzati, rappresentando circa il 7% del totale di impiegati, quadri e dirigenti: la disciplina dello smart working è stata quindi introdotta per dotare di una veste giuridica un metodo e una forma di lavoro ormai in uso da diverso tempo.

Per avere una definizione di smart working è necessario fare riferimento al testo stesso del disegno di legge, che per lavoro agile intende una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, avviata da un accordo tra le parti, priva di precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro e che si caratterizza, appunto, per l’utilizzo di strumenti tecnologici.

La prestazione di lavoro deve essere eseguita in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza che vi sia per il lavoratore una postazione fissa, e nel rispetto dei limiti massimi di durata dell’orario lavorativo giornaliero e settimanale.

Affinché il lavoratore possa offrire la propria prestazione lavorativa “agilmente” è necessario che venga siglato un accordo scritto tra le parti con il quale si definiscano modalità secondo le quali la prestazione dovrà essere resa, anche con riferimento agli strumenti utilizzati dal lavoratore.

L’accordo, inoltre, dovrà prevedere anche delle fasce orarie in cui dovrà essere garantito il diritto al riposo del lavoratore: in questo senso si dovranno stabilire le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dagli strumenti tecnologici altrimenti usati per lavorare (c.d. diritto alla disconnessione).

L’accordo di smart working può avere durata determinata o indeterminata: qualora le parti volessero recedere dall’accordo dovranno rispettare il termine di preavviso stabilito (comunque non inferiore a 30 giorni), a meno che si verifichi una giusta causa di recesso per il caso di accordo a tempo indeterminato.

La diversa modalità di svolgimento della propria prestazione lavorativa, tuttavia, non può incidere sul trattamento economico e normativo applicato al lavoratore, che non può essere inferiore a quello complessivamente applicato ai lavoratori che svolgono le medesime mansioni all’interno dell’azienda.

Naturalmente, il legislatore ha previsto anche un adeguamento del regime in tema di tutela della sicurezza e della salute sul lavoro; per il datore di lavoro, infatti, è previsto un obbligo di informativa a cadenza almeno annuale nella quale vengano identificati i rischi generali e specifici connessi alla peculiare modalità di svolgimento dell’attività lavorativa.

Lo stesso vale in tema di infortuni sul lavoro, per il quale è assicurata la copertura INAIL se l’infortunio è causato da un rischio connesso con la prestazione lavorativa. Inoltre, nel caso in cui il locale prescelto per lo svolgimento dell’attività al di fuori dell’azienda non sia la propria abitazione, è riconosciuta la possibilità dell’”infortunio in itinere” quando la scelta del luogo di lavoro sia dettata da esigenze legate alla prestazione stessa o per la necessità del lavoratore di conciliare vita e lavoro, purché la scelta si possa dire essere stata dettata da ragionevolezza.

Infine, le disposizioni in tema di “smart working” potranno essere applicate, in quanto compatibili, anche ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, fatto salvo il caso in cui ci si debba attenere a normative particolari.

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