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Demansionare il lavoratore è oggi possibile, ma a precise condizioni, di Annalisa Rosiello, Cassaforense News, 4 novembre 2019

16.03.2021 | News

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Sono sempre più numerosi i casi di lavoratori che vengono convocati negli uffici del personale delle aziende per ricevere una proposta di demansionamento.

Molti di questi casi riguardano lavoratori in distacco o missione all’estero che, terminato il periodo della destinazione, si sentono avanzare proposte o sollecitazioni a espletare incarichi inferiori  rispetto a quelli ricoperti prima, oppure a “dipendere” da altri lavoratori appartenenti a profili che in precedenza erano loro subordinati.

Le soluzioni alternative prospettate dall’azienda riguardano la risoluzione del rapporto, spesso (ma non sempre) a fronte di un incentivo all’esodo.

Altre situazioni, e analoghe proposte, riguardano le elevate professionalità (dirigenti, quadri, funzionari di banche e assicurazioni, ecc.), che vengono notiziati in merito alla chiusura della propria sede, ufficio, filiale o in merito alla riorganizzazione del settore da loro diretto.

La normativa giuslavoristica a questo riguardo cosa prevede? prima del c.d. jobs act, ovvero del giugno 2015, tali iniziative non erano consentite: il datore di lavoro – per esercitare correttamente il c.d. jus variandi – doveva destinare il lavoratore solo a mansioni “equivalenti” rispetto a quelle svolte in precedenza; va tuttavia detto che vi erano state diverse pronunce che ritenevano giustificati gli accordi di  demansionamento se era in gioco il mantenimento dell’occupazione.

Dopo il jobs act (D.lgs. 81/2015), invece, all’art. 2103 c.c. è stato introdotto il diverso obbligo di assegnare il lavoratore “a mansioni riconducibili allo stesso livello e categoria legale di inquadramento delle ultime effettivamente svolte”.

Al secondo comma dell’art. 2013 c.c., nuovo testo, si prevede anche la possibilità di demansionare il lavoratore con comunicazione unilaterale dell’azienda “in caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incide sulla posizione del lavoratore”, a condizione che le mansioni deteriori assegnate corrispondano “al livello di inquadramento inferiore”.

Quando invece l’azienda intenda destinare il lavoratore a mansioni corrispondenti a una categoria legale inferiore (ad esempio da dirigente a quadro, da quadro a impiegato e così via) deve stipulare un vero e proprio accordo nelle sedi previste dall’art. 2113 c.c. (Sindacato, Itl, ecc.). Stabilisce infatti il sesto comma dell’art. 2103 c.c. che nel caso vi sia “interesse del lavoratore alla conservazione dell’occupazione, all’acquisizione di una diversa professionalità o al miglioramento delle condizioni di vita” il lavoratore, a condizione appunto che sigli un accordo in sede protetta, può anche accettare un compenso, un livello e delle condizioni differenti, novando varie clausole del suo contratto di lavoro.

In altri termini, se è in pericolo la tenuta del posto di lavoro e nelle altre ipotesi previste dalla legge il lavoratore può scegliere se, in base alle sue condizioni personali, familiari e professionali, accettare un (sensibile) demansionamento accompagnato da relativa riduzione stipendiale oppure, eventualmente, contrattare con l’azienda un incentivo all’esodo.

Qui il link dell’articolo pubblicato sulla rivista di Cassaforense News.

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