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Novità giurisprudenziali 3 ottobre 2018, a cura di Monica Serra.

16.03.2021 | News

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– CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI – ILLEGITTIMITA’ COSTITUZIONALE –

Corte Costituzionale, 26 settembre 2018

Il 26 settembre scorso la Consulta ha diffuso la notizia della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1 del D.Lgs. 23/2015 – meglio noto come contratto a tutele crescenti -, nella parte in cui dispone che l’indennità risarcitoria, dovuta al lavoratore per il caso di licenziamento illegittimo,  viene determinata secondo il solo criterio rigido dell’anzianità lavorativa, senza spazio discrezionale per il giudice.

Tale criterio, che non è stato modificato dal D.l. n. 87/2018 (c.d. “Decreto Dignità”), se non per i tetti minimi e massimi dell’indennità, è contrario ai principi di ragionevolezza e uguaglianza e contrasta con il diritto e la tutela del lavoro sanciti dagli artt. 4 e 35 della Costituzione.

– FORMA E PROVA DEL LICENZIAMENTO –

Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2018

E’ invalido e inefficace il licenziamento intimato al lavoratore con un documento allegato a un messaggio di posta elettronica semplice, per difetto di prova della conoscibilità da parte del destinatario ex art. 1335 cod.civ.

Secondo il Giudice, infatti, l’allegato al messaggio di posta elettronica semplice non supera la presunzione di conoscenza del licenziamento da parte del destinatario: questo perché, essendo il licenziamento un atto ricettizio, la prova dell’invio del messaggio di posta elettronica, che vi sia una ricevuta di consegna, non è sufficiente a dimostrare la conoscibilità da parte del destinatario della email.

– LICENZIAMENTO E AUTOTUTELA DEL LAVORATORE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2018 n. 22656

E’ illegittimo il licenziamento della dipendente che, trasferita con un atto dichiarato nullo, offra la propria prestazione lavorativa presso la sede originaria dell’azienda e venga, per questo, licenziata.

La Cassazione ha accolto questa soluzione, già adottata dai giudici di merito, confrontando il comportamento del datore di lavoro (che in sede di reintegrazione aveva disposto il trasferimento della lavoratrice a una sede disagiata e lontana dal suo domicilio) e il comportamento della lavoratrice, che non aveva semplicemente rifiutato il trasferimento, ma aveva continuato ad offrire la propria prestazione presso l’originaria sede di lavoro.

La condotta del lavoratore, in questi termini, ricade sotto la previsione di una azione di autotutela ex art. 1460 cod. civ. inadimplenti non est adimplendum e il provvedimento datoriale alla base, non supportato da ragioni giustificatrici, travolge anche il licenziamento successivo.

– FALSA ATTESTAZIONE DELLA PRESENZA IN UFFICIO –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 11 settembre 2018 n. 22075

Ai fini della falsa attestazione della presenza in ufficio rileva, secondo la Cassazione, anche l’omessa registrazione dell’uscita da parte di un dipendente.

Nel caso di specie il dipendente di una università era stato licenziato per essersi allontanato dal lavoro senza registrare la sua uscita dall’ufficio, contrariamente a quanto previsto dal D.lgs. 165/2001, che prevede come causa di licenziamento disciplinare la falsa attestazione della presenza in ufficio.

Sebbene in giudizio il dipendente abbia invocato il CCNL applicatogli, secondo cui l’abbandono ingiustificato del posto di lavoro prevede una sanzione conservativa, la Cassazione ha ribadito che il fatto è inquadrabile nella fattispecie di falsa attestazione della presenza, la cui disciplina legale prevale su quella contrattuale.

– DIMISSIONI, STATO DI INCAPACITA’  E DIRITTO ALLA RETRIBUZIONE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 8 settembre 2018 n. 21701

La Corte di Cassazione ribadisce l’orientamento già consolidatosi secondo cui il diritto alle retribuzioni del lavoratore, le cui dimissioni sono state annullate con sentenza, decorre dalla pronuncia e non dalla notifica del ricorso introduttivo del relativo giudizio: questo, nonostante il carattere retroattivo della sentenza di annullamento degli atti posti in essere in stato di incapacità.

Il principio si fonda sulla natura sinallagmatica del rapporto di lavoro e, fatte salve le ipotesi tassativamente stabilite dalla legge, il diritto alla retribuzione non matura in assenza della prestazione lavorativa.

– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 5 settembre 2018 n. 21679

Secondo la Corte di Cassazione la detenzione di un quantitativo di sostanza psicoattiva (hashish) per fini personali non rappresenta una giusta causa di recesso e lo stesso è quindi illegittimo.

Nel caso di specie un lavoratore, rientrato in azienda dopo la pausa pranzo con 25 grammi di hashish in tasca, era stato licenziato perché secondo il datore di lavoro era venuto irrimediabilmente meno il vincolo fiduciario; secondo la Cassazione, però, la detenzione di una tale quantità di sostanza stupefacente non giustifica il licenziamento.

In particolare, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretto il ragionamento dei giudici di merito, che avevano valutato il carattere extra-lavorativo della condotta, sia pur con la particolarità del caso concreto che prevedeva il rientro nello stabilimento, e avevano precisato che l’episodio in questione potesse essere comparato a quello del rinvenimento del dipendente trovato in stato di manifesta ubriachezza durante l’orario di lavoro, condotta sanzionata con una misura conservativa, escludendo infine che le specifiche circostanze oggettive e soggettive fossero tali da far ritenere irrimediabilmente compromesso il vincolo fiduciario, anche in ragione dell’assenza di potenziali danni derivanti al datore di lavoro dal comportamento del dipendente.

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