a

News

Rassegna giurisprudenziale 22 giugno 2018, a cura di Monica Serra

15.03.2021 | News

News

 

– NULLITA’ DEL RECESSO IN PROVA DELLA LAVORATRICE IN GRAVIDANZA –

Tribunale di Milano, sezione Lavoro, sentenza 17 maggio 2018 n. 1213

Nell’ambito di un contratto c.d. a tutele crescenti, il Tribunale di Milano ha dichiarato la nullità del licenziamento della lavoratrice in stato di gravidanza per mancato superamento del periodo di prova.

Il Giudice ha chiarito che il licenziamento in prova della lavoratrice madre, come spiegato dalla sentenza  n. 172/1996 della Corte Costituzionale, deve essere motivato; il datore di lavoro, cioè, deve adeguatamente spiegare le ragioni per le quali il giudizio sulla prestazione resa dalla lavoratrice durante l’esperimento è negativo al fine di consentire alla parte, e successivamente al giudice, di valutare che il licenziamento non sia legato alla condizione di donna incinta.

E nel caso specifico tale onere non è stato assolto e il licenziamento è stato ritenuto discriminatorio sulla base di una serie di elementi presuntivi allegati dalla lavoratrice, come la consequenzialità temporale tra la comunicazione dello stato di gravidanza e l’intimazione del licenziamento.

– LICENZIAMENTO DELLA LAVORATRICE MADRE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 6 giugno 2018 n. 14515

Il licenziamento della lavoratrice madre è illegittimo anche in caso di chiusura del reparto a cui è addetta.

Ancora una volta la Corte di Cassazione ha interpretato la deroga al divieto di licenziamento della lavoratrice entro il primo anno del bambino come valido ed efficace solo in caso di chiusura dell’intera attività aziendale e non di un solo reparto.

– AUTORICICLAGGIO –

Corte di Cassazione, II sezione penale, sentenza 7 giugno 2018 n. 25979

Con questa recente sentenza la Corte di Cassazione, II sezione penale, ha individuato la sussistenza del reato di autoriciclaggio nell’ambito di un rapporto di lavoro.

Nel caso di specie un datore di lavoro obbligava i propri dipendenti, con velate minacce di trasferimento e/o licenziamento, ad accettare compensi inferiori rispetto a quelli indicati nelle buste paga per usare le differenze per pagare in nero provvigioni e altri benefit a favore dei venditori dell’impresa.

Secondo la Cassazione la prima parte di questa condotta (costringere i lavoratori ad accettare retribuzioni minori) configura il reato di estorsione, mentre la seconda (il pagamento in nero di benefit) altro non è che autoriciclaggio, in quanto reimmissione dei fondi illeciti nel circuito aziendale in maniera idonea a mascherarne la provenienza delittuosa.

– IMPUGNAZIONE DEL LICENZIAMENTO –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 4 giugno 2018 n. 14212

L’azione ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori è atto idoneo a impedire la decadenza del lavoratore dall’impugnazione del licenziamento.

Come è noto, il licenziamento deve essere impugnato a pena di decadenza entro 60 giorni dalla sua ricezione da parte del lavoratore e con qualsiasi atto scritto “anche attraverso l’intervento dell’organizzazione sindacale diretto ad impugnare il licenziamento”.

Nel caso in esame, ritenendo il licenziamento espressione di condotta antisindacale, l’organizzazione di riferimento del lavoratore ha immediatamente proposto l’azione prevista dall’art. 28 SL e il lavoratore, seppure ben oltre il termine dei 60 giorni, ha autonomamente instaurato l’azione individuale di annullamento del licenziamento.

Ebbene, in contrasto con il parere dei Giudici di merito, la Corte ha ritenuto l’azione ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori assolutamente equiparabile all’impugnazione del licenziamento.

Condividi questo articolo