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I rapporti tra tutela della salute e tutela contro le discriminazioni, 24 gennaio 2019, di Annalisa Rosiello

22.03.2021 | Pubblicazioni

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Questo breve contributo intende porre in relazione i gruppi di lavoratori esposti a specifici rischi per la salute (età, differenze di genere, provenienza da altri paesi, ecc.) e gruppi soggetti a rischio discriminazioni.

La tesi è che salvaguardando in modo puntuale e peculiare la salute di questi gruppi di lavoratori, il datore di lavoro può innescare un circolo virtuoso a beneficio sia degli stessi lavoratori sia dell’organizzazione e della collettività.

In caso contrario potrebbero trovare origine conseguenze sul piano risarcitorio (al verificarsi di eventi lesivi della salute) e, inoltre, il comportamento del datore di lavoro potrebbe essere considerato discriminatorio, dal momento che situazioni diverse trovano ingiustificata omologazione.

I rischi sono di entità diversa in presenza di gruppi particolari di lavoratori

L’art. 32 della Costituzione prevede la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e l’art. 2087 c.c. rappresenta la norma preventiva e repressiva principale, che impone l’adozione di misure adeguate secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza, la tecnica, per la tutela dell’integrità fisica e della personalità morale del lavoratore.

A queste disposizioni di carattere generale si aggiunge l’art. 28, d. lgs. n. 81/2008, che stabilisce che l’oggetto della valutazione dei rischi “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato … e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza…, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione”.

Già nelle finalità espresse all’art. 1, comma 1, d. lgs. n. 81/2008 si fa riferimento inoltre al “riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza garantendo tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

Il legislatore, anche di recente, è intervenuto sul tema, con una norma contenuta nella legge di bilancio per il 2018, la l. 205/2017, che –  in modifica all’art. 26 D.lgs. 198/2006 3-ter. – ha previsto: “I datori di lavoro sono tenuti, ai sensi dell’articolo 2087 del codice civile, ad assicurare condizioni di lavoro tali da garantire l’integrità fisica e morale e la dignità dei lavoratori, anche concordando con le organizzazioni sindacali dei lavoratori le iniziative, di natura informativa e formativa, più opportune al fine di prevenire il fenomeno delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Le imprese, i sindacati, i datori di lavoro e i lavoratori e le lavoratrici si impegnano ad assicurare il mantenimento nei luoghi di lavoro di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali, basate su princìpi di eguaglianza e di reciproca correttezza”.

Dalla normativa sopra brevemente richiamata – quindi – si evince  che la prevenzione non si rivolge a un “neutro” (che poi tende a coincidere con il tipo: “maschio-quarantenne-in salute”); andranno quindi considerati specificamente, tra gli altri, anche quei gruppi che il legislatore considera soggetti a rischi particolari di cui si è ora detto.

I fattori di discriminazione

Esaminando i fattori di discriminazione previsti nel complesso della normativa antidiscriminatoria (d.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006, nei dd. llggss. n. 215 e 216 del 9 luglio 2003, t.u. 286/98, art. 15 Stat. Lav.) possiamo ricavare questo elenco: sessorazzaorigine etnicanazionalitàreligioneconvinzioni personalihandicapetàorientamento sessuale, orientamento o attività sindacale, orientamento politico.

Come già anticipato, i gruppi omogenei considerati dalle normative richiamate – rispettivamente in materia di sicurezza e di discriminazioni – trovano parecchie corrispondenze.

In particolare sono identici i fattori genere/sesso ed età; anche il fattore di rischio provenienza da altri paesi trova corrispondenza nel divieto di discriminazione per nazionalità sancito dal t.u. n. 286/1998 e, indirettamente, nei fattori di discriminazione relativi a razzaorigine etnica, e per taluni aspetti, religione.

Relativamente all’handicap, ancorché non esplicitamente previsto come fattore di rischio dall’art. 28 d. lgs. n. 81/2008, deve farsi riferimento a tutta la normativa promozionale, preventiva e repressiva posta a tutela della salute e degli altri diritti fondamentali delle persone con disabilità, tra cui la normativa sui ragionevoli accomodamenti contenuta nel d. lgs. n. 216/2003 (come modificato dalla l. n° 99/2013), che si pone tanto come norma di promozione della salute e di integrazione della persona disabile, quanto come norma di prevenzione e, infine, come norma repressiva delle discriminazioni.

Ed è sicuramente possibile affermare che questa sovrapponibilità non sia casuale; si può cioè sostenere che la normativa interna, principalmente di derivazione comunitaria (sia quella sulla sicurezza, sia quella sulle discriminazioni), abbia individuato categorie particolarmente a rischio sia “salute” che “discriminazione”, alle quali il datore di lavoro dovrà prestare particolare attenzione e per le quali sarà sempre più necessario porre in essere specifiche misure.

Questo non solo al fine di evitare i rischi connaturati alle singole categorie (ampiamente studiati, affermati e divulgati dalla scienza clinica e dalle fonti interne e internazionali, come vedremo), ma anche in ottica di prevenzione delle discriminazioni e delle condotte moleste.

Facciamo un esempio: con riguardo ai rischi legati all’età, un’azione adeguata volta a salvaguadare la salute e la professionalità di un lavoratore in età avanzata e che punta a soluzioni mirate sul piano organizzativo, logistico, ergonomico e tecnologico può costituire uno strumento importante di prevenzione degli infortuni e delle malattie delle persone over 50 ma – nello stesso tempo – può determinare un effetto di protezione della dignità e degli altri diritti fondamentali del lavoratore e/o, peggio, che si sviluppino situazioni discriminatorie o moleste legate all’età.

E gli esempi si possono moltiplicare e replicare anche per tutti gli altri fattori di rischio coincidenti con i fattori di discriminazione.

Fattori di rischio e fattori discriminatori:  le misure differenziate da adottare.

La normativa in materia di salute e sicurezza ha  introdotto, come già anticipato, l’obbligo per le imprese di prevenire tutti i rischi e di redigere, con riguardo ad essi, il Documento di Valutazione dei Rischi.

Come abbiamo già detto, l’art. 28 del TU prevede la valutazione di “tutti i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori”, ma aggiunge un’appendice che si caratterizza per sua la precisione, un elenco più definito con cui il legislatore ha inteso valorizzare particolari situazioni e condizioni; di fronte a tali situazioni e condizioni – e alla luce poi delle peculiarità di ogni contesto lavorativo – possono venirsi a creare maggiori rischi, come quelli legati alle caratteristiche fisiche, sociali, ambientali e umane.

La comune esperienza e conoscenza – che deriva il larga misura dagli studi in ambito clinico e socio-economico – i gruppi richiamati dall’art. 28 t.u. presentano di fatto maggiori rischi legati alla salute (fisicamentale e/o sociale) e quindi necessitano di misure specifiche sia in generale, sia per non creare il terreno fertile per lo sviluppo di condotte discriminatorie o moleste.

Le misure di promozione, prevenzione e tutela della salute che il datore di lavoro deve osservare in questi casi sono maggiori e, comunque, differenziate rispetto a quelle che deve rivolgere alle altre categorie di lavoratori e lavoratrici; nel caso in cui non venga svolta un’adeguata prevenzione, tale condotta potrebbe dare luogo a una inadempienza rispetto alla normativa in materia di sicurezza, fonte di specifica responsabilità e collocarsi anche sul filo di una condotta discriminatoria; infatti laddove situazioni sensibilmente diverse, che per legittime finalità andrebbero necessariamente e per legge trattate in maniera differente, venissero inappropriatamente trattate in maniera identica, potrebbe venire a crearsi, come già anticipato, il terreno fertile per discriminazioni, azioni moleste e pressioni nei riguardi di lavoratori e lavoratrici appartenenti ai gruppi in esame.

Questo ragionamento può essere replicato in tutti i casi in cui sia possibile operare una sovrapposizione tra fattori di rischio e fattori discriminatori, perché analoghe sono le esigenze di protezione, l’esposizione a rischi particolari e significativamente diversa è la situazione rispetto alla c.d. normalità dei lavoratori (o al lavoratore considerato in senso “neutro”).

E possiamo anche affermare che l’ambito delle azioni positive e delle soluzioni ragionevoli – sebbene riguardante settori specifici del diritto antidiscriminatorio –  potrebbe diventare il parametro per valutare l’adeguatezza delle misure e del livello di tutela anche degli altri gruppi particolarmente a rischio e previsti dall’art. 28, TU richiamato.

Peraltro non è infrequente che proprio questi gruppi siano maggiormente esposti a stress lavoro-correlato o possano essere oggetto di un giudizio di inidoneità da parte del medico competente rispetto alla specifica mansione svolta, tale da necessitare una collaborazione attiva del datore di lavoro nella ricollocazione del lavoratore su altre mansioni compatibili con le limitazioni.

E’ già stato affermato, del resto, che il concetto di soluzione ragionevole non è intrinsecamente legato alla caratteristica della disabilità; infatti secondo un Autore la sua utilità si estende, ad esempio, “alle minoranze religiosealle donne in gravidanza o in allattamento e ai dipendenti con funzioni di cura, in cui i meccanismi di esclusione sono spesso molto simili a quelli della disabilità e non meno problematici rispetto a una prospettiva  di uguaglianza” [1]. Lo stesso dicasi, secondo la nostra prospettazione, con riguardo ai lavoratori in età avanzata.

Osservazioni conclusive

La corrispondenza tra gruppi a rischio salute e gruppi a rischio salute non è casuale; nella pratica è infatti molto frequente che le discriminazioni colpiscano principalmente quegli stessi gruppi per i quali il legislatore della sicurezza ha richiesto  un’attenzione particolare.

Alle persone con disabilità è dedicata una normativa fortemente protettiva, che consente di arrivare al cuore dell’organizzazione e di imporre al datore di lavoro di adattare la stessa, a condizioni di ragionevolezza, alle esigenze della persona con disabilità. Qualora ciò non dovesse accadere la sanzione è quella della nullità sancita dal diritto antidiscriminatorio.

Con gli adeguamenti del caso è possibile sostenere che la normativa della sicurezza, nella parte qui trattata, possa essere riletta e interpretata anche alla luce del diritto antidiscriminatorio.

La linea di confine tra violazione dell’art. 2087 c.c. e dell’art. 28 t.u. e discriminazioni, quando si è in presenza di gruppi soggetti a rischi particolari, è infatti tutt’altro che marcata.

Come pure è sottile la differenza che passa tra le misure preventive e rimediali stabilite dall’art. 2087 c.c. in presenza di determinate situazioni e le soluzioni ragionevoli previste per le persone con disabilità.

E possiamo anche affermare che l’ambito delle azioni positive  e delle soluzioni ragionevoli – sebbene nate nell’ambito diritto antidiscriminatorio per specifici gruppi – potrebbe diventare la cifra per determinare l’adeguatezza delle misure e del livello di tutela anche degli altri gruppi particolarmente a rischio.

E quindi, operando adeguatamente a protezione della salute, il datore di lavoro potrà innescare un circolo virtuoso a beneficio sia del lavoratore – che sarà con ciò salvaguardato, come abbiamo visto, anche negli altri diritti fondamentali (in primis la dignità) – sia dell’organizzazione e della collettività.

 


[1] Alidadi K. (2012), Reasonable Accommodations for Religion and Belief: Adding Value to Article 9 ECHR and the European Union’s Anti-Discrimination Approach to Employment?, in European Law Review, 2012, n. 6 (http://www.iuscommune.eu/html/prize/pdf/2013_Alidadi.pdf).

[1] Per la lettura di un più ampio contributo della stessa Autrice su questa tematica v. La sottile linea di confine tra violazione della normativa in materia di sicurezza e discriminazione quando si è in presenza di gruppi di lavoratori soggetti a rischi particolari nel volume a cura di Bonardi O. (2017) Eguaglianza e divieti di discriminazione nell’era del diritto del lavoro derogabile, pag. 286 e segg..

Scarica qui il Pdf dell’articolo pubblicato nella rivista Pianeta Lavoro e Tributi, n° 1/2019

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