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La tutela della salute e la prevenzione delle discriminazioni legate all’età nel contesto Impresa 4.0, di Annalisa Rosiello, 29 giugno 2018

22.03.2021 | Pubblicazioni

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Il piano nazionale Impresa 4.0 (già Industria 4.0) varato nel 2016 dal Ministero dello Sviluppo Economico  prevede per gli anni 2017 e 2018 una serie di iniziative volte a sostenere, attraverso incentivi e forme di finanziamento, gli investimenti sulle nuove tecnologie da parte delle imprese.

Lo stesso piano nazionale prevede poi investimenti in “capitale umano” puntando in maniera peculiare sulle professionalità ad alta competenza tecnologica nonché alla formazione negli ambiti del digitale e Impresa 4.0 del personale già impiegato. Questo al fine di prevenire la c.d. “disoccupazione tecnologica” (viene a tale riguardo previsto un credito di imposta in caso di formazione negli ambiti 4.0).

Le misure di contrasto a tale nuova forma di disoccupazione rischiano tuttavia di risultare del tutto insufficienti con riguardo alla popolazione adulta e ai gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari (salute e discriminazioni), come vedremo.

Tra i numerosi documenti e studi sul tema, si segnala quello elaborato dalla Commissione Lavoro del Senato, durante la scorsa legislatura, in materia di “Impatto sul mercato del lavoro della quarta rivoluzione industriale” [1]. Nella relazione finale dell’indagine condotta si legge che il rapporto tra tecnologia e lavoro viene affrontato soprattutto con riguardo alle novità tecnologiche e declinato nei capitoli degli investimenti e della politica industriale, lasciando in secondo piano l’enorme impatto sul mercato del lavoro.  Prosegue la relazione affermando che questo vale ancor più per la popolazione “adulta”, maggiormente a rischio marginalizzazione dal mercato del lavoro perché indebolita da una sorta di divario strutturale tra velocità del cambiamento e velocità dell’apprendimento.

Si segnala altresì la Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017 [2] recante raccomandazioni alla Commissione in tema di diritto civile sulla robotica. Tale risoluzione, in un passaggio, sottolinea che il quadro etico di riferimento “dovrebbe essere basato sui principi di beneficenza, non maleficenza, autonomia e giustizia, nonché sui principi sanciti all’articolo 2 del trattato sull’Unione europea e nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea – quali la dignità umana, l’uguaglianza, la giustizia e l’equità, la non discriminazione, …”.

E dunque, prima di affrontare i pericoli, ma anche le potenzialità dell’innovazione tecnologica rispetto alla popolazione “adulta” (over 50) vediamo la normativa che tutela la salute e contrasta le discriminazioni di questo gruppo di lavoratori che sono evidentemente esposti a maggiori rischi in entrambi gli ambiti (salute e discriminazioni).

Il contesto normativo e la specifica tutela dei lavoratori sulla base dell’età

Nell’ambito del Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (D.lgs. 81/2008 e successive integrazioni e modifiche), l’art. 28 definisce l’oggetto della valutazione dei rischi, prevedendo che esso “deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato … e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza…, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione”.

Nelle finalità espresse fin dal primo articolo (all’art. 1, comma 1, d. lgs. n. 81/2008) si fa riferimento al “riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza garantendo tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati.

In tutta evidenza il legislatore (interno e comunitario) ha inteso offrire una protezione rafforzata a particolari categorie e gruppi di lavoratori, tra cui quelli adulti.

Se esaminiamo poi la normativa in materia di discriminazioni [3] ritroviamo molti dei fattori protetti elencati nella normativa in materia di salute e sicurezza sopra richiamata. Anche in questo ambito, dunque, il legislatore (interno e comunitario) ha inteso tutelare contro le diseguaglianze alcune, specifiche, categorie e gruppi di lavoratori prevedendo come fattore di rischio, tra gli altri, l’età.

L’elencazione contenuta nel T.U. 81/2008 e quella contenuta nella normativa antidiscriminatoria è composta da fattori, come dicevamo, in gran parte sovrapponibili [4].

In particolare sono identici i fattori genere/sesso ed età; anche il fattore di rischio provenienza da altri paesi trova sostanziale corrispondenza nel divieto di discriminazione per nazionalità sancito dal t.u. n. 286/1998 e, indirettamente, nei fattori di discriminazione relativi a razza, etnia, e per certi aspetti, religione.

Relativamente all’handicap, ancorché non esplicitamente previsto come fattore di rischio dall’art. 28 d. lgs. n. 81/2008, deve farsi riferimento a tutta la normativa in materia di prevenzione e tutela della salute della persona con disabilità [5], tra cui quella dei ragionevoli accomodamenti contenuta nel d. lgs. n. 216/2003, che si pone tanto come norma di promozione della salute e di integrazione della persona disabile, quanto come norma di prevenzione e, infine, come norma repressiva delle discriminazioni.

Dal nostro punto di vista questa corrispondenza o sovrapponibilità non è casuale. Il datore di lavoro dovrà prestare particolare attenzione a queste categorie, nei confronti delle quali sarà sempre più necessario, soprattutto nel contesto Impresa 4.0, porre in essere degli accomodamenti e delle misure specifiche. E ciò non solo al fine di evitare i rischi salute connaturati alle singole categorie e, in particolare, i rischi connessi all’invecchiamento [6], ma anche in ottica di prevenzione delle discriminazioni, delle condotte moleste e della marginalizzazione dal mercato del lavoro.

In particolare, relativamente alla salute, con riguardo a questa fascia della popolazione lavorativa, le misure di promozione, prevenzione e tutela della salute che il datore di lavoro deve osservare possono essere maggiori e, comunque, differenziate rispetto a quelle che deve rivolgere alle altre categorie di lavoratori e lavoratrici.

Nel caso in cui non venga svolta un’adeguata prevenzione, tale condotta potrebbe dare luogo a un’inadempienza rispetto alla normativa in materia di sicurezza (si pensi al caso di infortunio o malattia perché non si sono adeguatamente ponderati nel Dvr, e comunque a livello generale, i rischi legati all’età); potrebbe anche collocarsi, per così dire, sul filo di una condotta discriminatoria, poiché situazioni sensibilmente diverse, che per legittime finalità andrebbero necessariamente e per legge trattate in maniera differente, vengono trattate in maniera uguale creando altresì, e non di rado, il terreno fertile per discriminazioni, azioni moleste e pressioni nei riguardi di lavoratori e lavoratrici in età avanzata (volte ad estrometterle dall’azienda, con conseguente rischio di esclusione definitiva dal mercato del lavoro, come dicevamo).

Del resto la legislazione antidiscriminatoria prevede a questo riguardo, nel d.lgs. n. 216/2003, comma 4-bis, che  “sono fatte salve le disposizioni che prevedono trattamenti differenziati in ragione dell’età dei lavoratori e in particolare quelle che disciplinano: a) la definizione di condizioni speciali di accesso all’occupazione e alla formazione professionale, di occupazione e di lavoro, comprese le condizioni di licenziamento e di retribuzione, per i giovani, i lavoratori anziani e i lavoratori con persone a carico, allo scopo di favorire l’inserimento professionale o di assicurare la protezione degli stessi”.

In altri termini e sulla base della citata disposizione, le politiche nazionali, locali e aziendali e la contrattazione collettiva a tutti i livelli possono porre in campo misure specifiche non solo per agevolare l’impiegabilità dei lavoratori anziani, ma anche per assicurare la “protezione” della salute e degli altri diritti fondamentali (in primis la dignità in ambito professionale).

Le principali criticità cui è esposta la popolazione adulta

Ma veniamo a esaminare le principali problematiche di questa specifica categoria di lavoratori.  La maggiore esposizione a rischi dei lavoratori in età avanzata è dovuta, in particolare, a problematiche di tipo fisico (riduzione della forza muscolare, diminuzione della motilità delle articolazioni ed elasticità dei tessuti, aumento delle patologie del rachide, maggiore difficoltà a mantenere la postura e a sopportare sforzi prolungati), di tipo sensoriale (diminuzione della capacità visiva e uditiva), di tipo cognitivo (maggiore difficoltà ad adeguarsi a cambi improvvisi dei processi produttivi, minor prontezza di riflessi e memoria), maggiore probabilità di insorgenza di malattia (diabete, colesterolemia, osteoporosi).

Ciò comporta, per il lavoratore over 50, una difficoltà mediamente più alta nello svolgimento delle mansioni assegnate.

Inoltre è molto frequente che tali problematiche trovino riscontro in giudizi di inidoneità parziale e/o temporanea del medico competente rispetto alla specifica mansione svolta, tali da necessitare una collaborazione attiva del datore di lavoro nella ricollocazione del lavoratore su altre mansioni compatibili con le limitazioni.

Il dato dell’invecchiamento della popolazione e delle connesse problematiche è ormai noto e non può essere ignorato dai datori di lavoro in sede di valutazione dei rischi e di adozione di misure o soluzioni appropriate e ragionevoli (anche per prevenire, come si diceva, pratiche discriminatorie o di molestie).

Possono pertanto e – se il contesto specifico sul piano della valutazione dei rischi lo richiede – debbono essere poste in atto una serie di misure o adattamenti atti a valorizzare la figura del lavoratore non più giovane, a mantenere la sua professionalità all’interno del luogo di lavoro e a prevenire le discriminazioni e le diseguaglianze.

Questi obiettivi contrastano tuttavia con alcune idee e/o pregiudizi cui sono esposti i lavoratori senior, alcuni dei quali proprio rispetto all’innovazione tecnologica (difficoltà a gestire e ad adattarsi al cambiamento e all’innovazione tecnologica, performance decrescenti ed inferiori al necessario, costi maggiori e più alti rispetto ai giovani, ecc.).

Le possibilità dell’innovazione tecnologica con riguardo alla popolazione adulta

Occorre dunque ben considerare il contesto normativo sopra sintetizzato, che tutela in maniera peculiare la salute del lavoratore in età adulta e contrasta le discriminazioni.

Partendo da questa considerazione, l’impresa dovrebbe impiegare la tecnologia non solo in ottica di maggior profitto, ma anche per tutelare in maniera specifica la salute dei lavoratori adulti.

Esistono del resto esempi virtuosi che tendono ad assecondare le novità provenienti dalle tecnologie più avanzate per tutelare la salute e preservare l’impiegabilità dei lavoratori adulti, come quello avviato nel 2007 in uno stabilimento BMW nella Baviera meridionale, nel quale è stata prevista una linea produttiva più lenta in relazione ai bisogni dei lavoratori over 50, che ha peraltro fatto registrare un aumento della produttività [7].

Sempre in questa ottica, si sta lavorando all’utilizzo degli esoscheletri robotici per migliorare gli standard di vita di persone che necessitano di una migliore mobilità e di ottimizzare le modalità di lavoro nell’ambito industriale e dei servizi [8].

Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ed è compito dei “tecnici” operare nella direzione sia dello sviluppo di tecnologie e macchinari utili ad accrescere la produttività e il profitto, sia in quella della tutela dei diritti dei lavoratori; come abbiamo detto, lavorare in questa direzione porta  a salvaguardare la salute e a prevenire le discriminazioni, le molestie e l’esclusione dal mercato del lavoro, segnatamente della popolazione adulta.

Anche nella relazione finale della Commissione lavoro Senato, citata nella premessa, si leggono considerazioni che seguono questa linea: “l’invecchiamento dei lavoratori implicherà anche un ripensamento dell’organizzazione del lavoro e soprattutto delle mansioni nell’ottica di un adattamento alla capacità fisica. Da questo punto di vista non sono da sottovalutare le potenzialità delle tecnologie che consentono già oggi, e ancor di più lo faranno in futuro, di garantire sicurezza ed efficienza ergonomica anche a lavoratori maturi, oltre a ridurre gli elementi di sforzo e fatica di tutti i lavoratori così da poter giungere in età avanzata con minori conseguenze negative”.

Chiaramente un’ulteriore, importante, misura è rappresentata dalla formazione. Possibilmente non soltanto in ambito 4.0 (come prevede il programma nazionale per ottenere il credito di imposta), dato che questo potrebbe penalizzare in misura proporzionalmente maggiore – almeno nel breve termine – i lavoratori già adulti. Questi infatti, non essendosi precedentemente formati (a livello scolastico e universitario) sulle nuove realtà tecnologiche che sono peraltro in continua evoluzione (integrazioni digitali, industrial internet, cloud, cyber-security, big data analytics), rischiano di partire molto svantaggiati rispetto alla popolazione più giovane.

E in questo contesto, un ruolo primario possono averlo i fondi interprofessionali, ovvero quei fondi per la formazione continua gestiti interamente dalle parti sociali (associazioni di rappresentanza dei lavoratori e delle imprese). Se dotati di maggiori dimensioni, regolati in modo semplice, certo e coerente con la missione di enti privati incaricati di un interesse generale, decentrati nei territori, vigilati e monitorati secondo criteri sostanziali, essi possono svolgere la funzione di motori della buona e utile formazione. Proprio in quanto espressione delle imprese e dei lavoratori in prossimità, possono evitare i pericoli di autoreferenzialità ed essere al contrario garanti della soddisfazione di una domanda che è loro compito analizzare continuamente nel divenire dei mercati locali del lavoro (così relazione Commissione Senato, cit.). La presenza attiva del sindacato, in questo ambito, è fondamentale e va rafforzata; questo anche a garanzia dell’equità nell’accesso alla formazione e affinché il servizio svolto dai fondi sia veramente di utilità pubblica e  orientato alla rimozione delle condizioni di svantaggio delle categorie più deboli, segnatamente in era 4.0 [9].

Considerazioni finali

Sulla base di quanto sopra trattato, è evidente che la popolazione adulta va incontro a maggiori rischi di discriminazione (nelle politiche formative, nei licenziamenti, nell’attribuzione di mansioni, ecc.). E questo nonostante un contesto normativo, di derivazione comunitaria, che tutela fortemente questa categoria di lavoratori.

In attesa che le politiche nazionali e locali intervengano con maggiore forza sul tema, le politiche aziendali, di welfare e la contrattazione collettiva possono svolgere un ruolo fondamentale nella direzione di utilizzare l’innovazione tecnologica – oltreché in ottica di profitto – anche a tutela della salute e degli altri diritti fondamentali (dignità in ambito professionale e non solo) dei lavoratori in età avanzata.

 


[1] https://www.senato.it/application/xmanager/projects/leg17/attachments/dossier/file_internets/000/002/240/documento_conclusivo_lavoro_4.0.pdf

[2] http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P8-TA-2017-0051+0+DOC+XML+V0//IT

[3] Nel D.lgs. n. 198 dell’11 aprile 2006 (codice delle pari opportunità), nonché nei Dd. Llggss. n. 215 e 216 del 9 luglio 2003, nel T.u. 286/98 e nel testo conseguente modificato dell’art. 15, L. 300/1970 si ricava il seguente elenco dei fattori di discruminazione: sesso, razza, etnia, nazionalità, religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale, orientamento o attività sindacale, orientamento politico.

[4] V. in Eguaglianza e Divieti di discriminazione nell’era del diritto del lavoro derogabile, a cura di Olivia Boniardi, il contributo di Annalisa Rosiello: La sottile linea di confine tra violazione della normativa in materia di sicurezza e discriminazione quando si è in presenza di gruppo di lavoratori soggetti a rischi particolari, pag. 287 e segg..

[5] V. ad esempio la norma di prevenzione e tutela generale di cui all’art. 10 della l. n. 68/99.

[6] La comunicazione della Commissione europea dal titolo Lavoro più sicuro e più sano per tutti, (COM -2017, 12 final, del 10 gennaio 2017), proprio partendo dal dato di fatto che la popolazione europea sta invecchiando, ha sottolineato la necessità di ridirigere gli sforzi atti a garantire il miglioramento e l’ampliamento della protezione, della conformità e dell’effettiva applicazione delle norme di salute e sicurezza sul lavoro. In particolare, la Commissione ha invitato gli Stati membri e le parti sociali a cooperare per modernizzare la legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro a livello dell’Ue e nazionale, tenendo in vita e soprattutto apportando dei miglioramenti al sistema di protezione dei lavoratori.

[7] Des Dorides, Politiche di activeaging, un’opportunità per le aziende, in   http://aidp.it/hronline/2016/1/1/politiche-di-activeageingunopportunita-per-le-aziende.php, più specificamente descrive, tra le altre , le “misure legate all’organizzazione del lavoro”. Sul caso della BMV v. http://www.reporternuovo.it/2011/02/18/i-lavoratori-tedeschi-invecchiano-e-la-bmw-apre-la-prima-fabbrica-pensata-per-operai-anziani/.

[8] Fontanelli, In fabbrica arriva l’operaio robocop,  in https://gallery.mailchimp.com/062e23fa4bdafcce9f85086cf/files/1eb9aa25-0d4f-43e8-87e7-63b1e6b9715f/20180419_In_fabbrica_arriva_l_operaio_Robocop.pdf .

[9] Pigoli, La regolazione del sitema di formazione continua, in https://www.barbarapigoli.com/2018/03/25/la-regolazione-del-sistema-di-formazione-continua/

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