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Quando un accordo sindacale si dice virtuoso: l’esempio ACEA, di Chiara Vannoni, 16 marzo 2018 –

22.03.2021 | Pubblicazioni

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ACEA – Confindustria, CGIL, CISL e UIL, ipotesi di accordo quadro 7 febbraio 2018

Negli scorsi giorni è stata sottoscritta, tra l’azienda municipalizzata romana ACEA, le altre imprese del gruppo e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative su scala nazionale, un’ipotesi di accordo quadro per il rinnovo e la definizione alcuni aspetti della futura contrattazione collettiva.

Il testo è meritevole di attenzione e di segnalazione perché, tra le altre cose, individua strumenti e metodi volti in ambito di politiche occupazionali con l’obiettivo, dichiarato e più volte ribadito, di creare occupazione stabile, di qualità, un ricambio generazionale e incrementi di competitività.

Obiettivi quindi ambiziosi, da realizzarsi utilizzando gli spazi di deroghe e di manovra riconosciute alle parti sociali, che hanno la possibilità di affiancarsi alle previsioni di legge per creare circuiti virtuosi.

La critica che infatti è stata più di sovente mossa al Contratto a Tutele Crescenti è che la riduzione delle tutele ha determinato una evidente precarizzazione del lavoro che dovrebbe essere a tempo indeterminato, in un contesto in cui peraltro già il rapporto a tempo determinato rappresenta sempre più una nuova regola che non l’eccezione.

L’accordo che segnaliamo vuole invece muoversi in una direzione diversa: favorire la stabilità dell’occupazione e con ciò anche un graduale ricambio generazionale.

Per prima cosa, precisiamo che l’accordo quadro non è un contratto collettivo, ma una “cornice” che definisce e stabilisce i contenuti futuri dei contratti aziendali (o di secondo livello) che dovranno essere sottoscritti dalle parti interessate dall’accordo quadro.

In particolare, e tra altre tematiche rilevanti (welfare, bonus, rappresentanza sindacale), l’ipotesi di accordo prevede un capitolo specifico per quanto riguarda le politiche occupazionali e i modelli di contrattazione aziendale, finalizzato alla promozione di una occupazione stabile di qualità: questi obiettivi, evidentemente finalizzati a un aumento dell’occupazione e a incrementi di competitività consentono infatti alla contrattazione aziendale di utilizzare spazi di manovra e deleghe riconosciute alle parti.

L’accordo in particolare agisce su due fronti: l’incentivo all’occupazione stabile e quello volto a valorizzare nuova occupazione, strettamente connessi.

Per quanto riguarda il profilo della stabilità dell’occupazione, le parti hanno convenuto che nei confronti di tutto il personale già in forze con contratto a tempo indeterminato e dei lavoratori che verranno invece assunti, saranno estese convenzionalmente le tutele previste dall’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori.

Questo vuole dire, in sostanza, che per i lavoratori delle aziende del gruppo ACEA non vi saranno più distinzioni tra chi è stato assunto prima o dopo il famoso “spartiacque” del 7 marzo 2015.

Diversi commentatori avevano infatti osservato come le differenti tutele potessero determinare conseguenze particolarmente gravi per i lavoratori più deboli, meno tutelati e quindi più ricattabili: la possibilità di livellare, questa volta verso l’alto, il regime di tutele dei dipendenti sulla base dell’estensione convenzionale delle previsioni di legge, può quindi concorrere all’obiettivo di creare occupazione stabile.

Il secondo aspetto dell’accordo quadro che si inserisce nelle politiche occupazionali è invece finalizzato a promuovere nuova occupazione e sviluppare azioni volte al ricambio generazionale.

Per favorire quindi l’ingresso di nuova occupazione l’accordo ribadisce l’utilizzo in via prioritaria di forme di assunzione agevolata, insieme a forme di accompagnamento alla pensione per i lavoratori più anziani.

Da notare che a fianco delle forme contrattuali agevolate per l’assunzione (quali ad esempio il ricorso all’istituto dell’apprendistato professionalizzante) e sempre al dichiarato fine di creare nuova occupazione, l’accordo quadro introduce la possibilità, per le parti, di prevedere un ingresso dei nuovi assunti con inquadramenti inferiori rispetto a quelli che spetterebbero “ufficialmente”, per un periodo di tempo di massimo tre anni.

Questa previsione appare una sorta di “scotto da pagare” inizialmente quale contropartita dell’ampliamento immediato delle tutele: certo che si dovrà osservare con attenzione se tutti questi strumenti, complessivamente considerati, condurranno alla realizzazione dell’obiettivo di creare occupazione di persone giovani che potranno, così, uscire da forme di precariato.

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