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Lo smartworking: la tutela delle fragilità in tempo ordinario, emergenziale e de iure condendo, di Annalisa Rosiello, 15 giugno 2020

22.03.2021 | Pubblicazioni

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La diffusione dell’epidemia da Covid-19 ha fatto emergere in maniera ancor più evidente le criticità che vivono alcune categorie di persone e lo svantaggio personale, familiare e sociale che caratterizza le loro esistenze; queste persone e i loro contesti meritano una particolare tutela che può essere raggiunta applicando la normativa già vigente o, meglio ancora, adottando una normativa ad hoc che possa maggiormente tutelarle.

Una misura molto utilizzata in questo periodo e che dovrebbe essere ulteriormente potenziata, come si sta facendo nel pubblico impiego, e anche migliorata nel suo utilizzo e applicazione, è quella del lavoro agile.

Occorre a questo riguardo subito precisare che – da uno studio recentemente condotto – è emerso che quasi 8,5 milioni di lavoratori svolgono un’attività o una funzione “telelavorabile”. Quindi questa disposizione risolverebbe a costo zero il problema di tante persone e famiglie.

La tutela in tempo ordinario ed emergenziale delle persone con disabilità (e dei caregiver)

Per le persone con disabilità esiste una normativa molto forte, che punisce la cosiddetta discriminazione per omissione: se l’azienda non adotta le c.d. soluzioni ragionevoli volte a salvaguardare la salute, la professionalità e il posto di lavoro della persona con disabilità commette una discriminazione, con tutte le conseguenze previste dalla legge.

Questa normativa è contenuta nel d.lgs. 216/2003, art. 3 comma 3 bis. In sostanza la persona con disabilità ha un vero e proprio diritto di vedere adottate delle modifiche organizzative (logistiche, tecniche, di mansioni, di orari, ecc.) a condizioni di ragionevolezza; e per l’azienda l’adozione di tali modifiche rappresenta un obbligo che, se non adempiuto, costituice una discriminazione, con tutte le conseguenze di legge (nullità, onere della prova alleggerito, risarcimento del danno non patrimoniale richiesto).

Nella fase emergenziale la “modifica organizzativa ragionevole” divenuta un vero e proprio diritto per le persone con disabilità grave, i loro caregiver, le persone immunodepresse e i familiari conviventi è lo smart-working o lavoro agile; per queste persone il lavoro da remoto evita spostamenti e contati e quindi riduce l’esposizione a rischio salute e contagio (v. art. 39 D.L. 17 marzo 2020, n° 18, denominato “Cura Italia” convertito in L. 24 aprile 2020, n° 27).

La normativa emergenziale succitata ha peraltro già ricevuto applicazione in giurisprudenza.

In particolare il Tribunale di Bologna (Est. E. Cosentino), con provvedimento del 23/4/2020, ha ordinato all’azienda di voler procedere immediatamente ad assegnare la ricorrente (persona con disabilità grave n.d.r.) a modalità di lavoro agile, smart-working, dotandola degli strumenti necessari o concordando l’uso di quelli personali.

Analogo provvedimento ha adottato anche il Tribunale di Grosseto (Est. G. Grosso), con provedimento del 23/4/2020, in favore di una donna con disabilità al 60% e contemporaneamente caregiver della figlia con disabilità grave.

La tutela in tempo ordinario ed emergenziale delle persone in età avanzata, di disabili non gravi e di malati cronici.

Abbiamo detto che l’età non più giovane rappresenta contemporaneamente un rischio per la salute (maggiore morbilità, incremento delle patologie a organi e apparati, maggiore affaticamento, ecc.) e per la dignità della persona, perché la espone a rischio discriminazioni.

In tempo emergenziale queste problematiche si sono amplificate e nel Protocollo sottoscritto dalle Parti Sociali il 24.4.2020 si prevede che per questa categoria sia approntata una adeguata sorgeglianza sanitaria (alla ripresa delle attività è opportuno coinvolgere  il medico competente per le identificazioni dei soggetti con particolari situazioni di fragilità ed è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria  ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età”).

Anche il Ministero della Salute, con circolare del 29.4.2020  precisa che “i dati epidemiologici rilevano una maggiore fragilità nelle fasce di età più elevate della popolazione (>55 anni di età), come riportato nel menzionato Documento Tecnico, nonché in presenza di co-morbilità che possono caratterizzare una maggiore rischiosità”.

E’ evidente dunque che in presenza di un rischio particolare, attestato da studi scientifici (art. 2087 “secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica”) l’imprenditore che non adotti misure adeguate a tutelare la salute delle persone over 55enni, quali ad esempio il lavoro agile, viola contemporaneamente la normativa di protezione e rischia di commettere una discriminazione diretta o indiretta laddove applica prassi, disposizioni di servizio e criteri omogenei ma pone in condizione di “particolare svantaggio” alcune categorie di soggetti, tra cui – appunto – le persone non più giovani.

Oltre all’età, il rischio salute è presente anche per i disabili meno gravi e per i malati cronici.

La nozione di disabilità, peraltro, non è solo quella riconosciuta dall’apposita commissione medica prevista dalla legislazione interna, ma è stata estesa dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea [1], che la considera un “concetto in evoluzione” che riguarda tutti coloro “che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri. Quindi i disabili meno gravi e malati cronici possono rientrare in questa definizione [2].

De iure condendo sarebbe importante, per la fase emergenziale, estendere il diritto al lavoro agile previsto dall’art. 39 del “Cura Italia”, chiaramente laddove possibile, anche alle persone over 55, ai disabili non gravi e ai malati cronici [3].

La tutela in tempo ordinario ed emergenziale delle donne e in generale dei genitori con figli in età scolare

Le donne-madri sono statisticamente i soggetti cui è in prevalenza affidata la cura dei figli in età scolare.

Capita infatti spesso di ascoltare casi riportati da donne che hanno enormi difficoltà a conciliare la vita familiare con la vita lavorativa. Si tratta di madri anche di più figli che hanno esaurito tutti i congedi e in generale le possibilità offerte dalla normativa di legge e contrattuale collettiva.

Ebbene, queste donne incontrano spesso enormi difficoltà a proseguire l’attività lavorativa e, contemporaneamente, a seguire i propri figli e spesso si trovano davanti all’alternativa di scegliere tra lavoro e famiglia. Il dilemma che vivono, e che le destabilizza non poco, è da un lato quello di perdere l’indipendenza economica – dal compagno o dalla famiglia – o addirittura, nel caso di madri single, di perdere l’unica fonte di sostentamento per sé e per i figli. Dall’altro di trascurare la famiglia, esponendosi a rischi di natura psico-fisica, familiare, sociale e persino a conseguenze giudiziarie.

Si tratta anche di donne vittime di violenza, che hanno necessità di dedicare del tempo ad attività di udienza, a colloqui con psicologi e assistenti sociali, ad accompagnare a questi colloqui i figli che hanno assistito alla violenza oppure l’hanno a loro volta subita. O ancora di persone (donne e uomini) che hanno genitori anziani con ridotta autosufficienza e costante necessità di supporto (per essere accompagnati a visite mediche, assistiti in periodi di degenza, ecc.), che non necessariamente godono dei permessi ex lege 104, e che vivono un temporaneo periodo di difficoltà al lavoro legato proprio a queste situazioni. Oppure di persone in età avanzata che hanno maggiori difficoltà nel lavoro o negli spostamenti.

Anche in tempo ordinario, peraltro, queste situazioni sarebbero agevolmente risolvibili ricorrendo a accorgimenti organizzativi quali l’adeguamento dei turni, part-time, il lavoro agile o il telelavoro che, specialmente in contesti più articolati, sarebbe uno sforzo minimo, o comunque proporzionato e “ragionevole”.

La normativa sullo smartworking, ad esempio, specialmente nel pubblico impiego, ha introdotto dei criteri di priorità nell’accesso a questa misura, soprattutto per chi vive situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare (DPCM n° 3/2017); la legge di bilancio 2019 ha modificato l’art. 18 l. 81/2017, introducendo al comma 3bis (applicabile al lavoro pubblico e privato) il diritto di precedenza per le lavoratrici entro tre anni dalla conclusione del congedo obbligatorio e ai caregiver di figli con disabilità grave.

La normativa in tema di salute e sicurezza prevede un’attività di protezione specifica per le differenze di genere, che sono contemporaneamente tutelate anche dalla normativa anti-discriminatoria.

Va detto che nel tempo emergenziale questo tema viene enfatizzato a causa della perdurante chiusura delle scuole, anche materne, e degli asili nido.

A tutela di queste situazioni potrebbero attivarsi le leve giuridiche di cui si è parlato anche sopra (Art. 2087 c.c., prevenzione dello stress lavoro-correlato ex 28, TU 81/08, adeguata salvaguardia delle differenze di genere, normativa anti-discriminatoria, ecc.). E’ facilmente ipotizzabile che – in assenza di una specifica disposizione – ci saranno quindi tanti contenziosi su questo specifico aspetto, segnatamente ogni qual volta lo smart-working, pure attivabile nello specifico, dovesse essere rifiutato dal datore di lavoro in presenza di necessità del dipendente quali quelle di far fronte all’accudimento dei figli nella fase emergenziale e post-emergenziale; anche per la semplice considerazione che ad impossibilia nemo tenetur (v. nota 3 per il pubblico impiego).

Una soluzione normativa per salvaguardare contemporaneamente il lavoro e le esigenze familiari potrebbe essere quella di estendere il diritto allo smartworking anche ai genitori di figli in età scolare (0-14 anni), fino al momento in cui i bambini e i ragazzi potranno tornare a riempire le classi senza gli ipotizzati “turni”.

Per fare ciò sarebbe sufficiente, analogamente rispetto alle persone over 55, estendere le tutele e i diritti contemplati dall’art. 39 del “Cura Italia”, chiaramente laddove possibile il lavoro agile, anche a questa categoria di persone; questa disposizione è entrata nella D.L. c.d. “Rilancio”, all’art. 96, per i dipendenti settore privato.

Conclusioni

Alla luce di queste brevi considerazioni, per via interpretativa (e quindi davanti ai giudici) si potrebbe sostenere che le aziende siano obbligate ad adottare misure inclusive o soluzioni ragionevoli (quali il lavoro agile) anche con riguardo ad altre categorie “fragili” sul piano personale, familiare e sociale e, in particolare, con riguardo alle persone over 55 e ai genitori con figli in età scolare; potrebbero essere infatti, come detto, attivate delle leve giuridiche attingendo dalla normativa in tema di sicurezza e da quella antidiscrimatoria.

De iure condendo, sia per il tempo ordinario (quando sarà definitivamente rientrata l’emergenza) sia per il tempo della pandemia si dovrebbe seriamente pensare rispettivamente di estendere la normativa sulle soluzioni ragionevoli anche alle altre categorie di soggetti ritenuti più a rischio e l’art. 39 del Cura Italia, relativamente al lavoro agile,  anche alle persone in età avanzata e ai genitori di figli in età scolare.

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