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Il decreto dignità, articolo sul fattoquotidiano.it del 1° agosto 2018 di Annalisa Rosiello

22.03.2021 | Pubblicazioni

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Il jobs act ha da un lato azzerato le tutele effettive contro i licenziamenti illegittimi (fornendo un implicito avallo alle aziende di licenziare anche senza reali motivi) e ha dall’altro confermato la possibilità di stipulare, prorogare o rinnovare contratti a termine a-causali per un tempo davvero esagerato, ovvero fino a 36 mesi. Rispetto a questa situazione di pesante sbilanciamento il decreto dignità compie un primo passo in direzione contraria.

Con il Decreto Legge n° 87 del 12 luglio 2018, meglio noto come Decreto Dignità, si è cominciato a mettere mano a una situazione di pesante squilibrio ingenerata nel corso della passata legislatura, in cui si è evidentemente dato un ampio spazio alla libertà di iniziativa economica (art. 41, comma 1° Cost.), a scapito dei diritti fondamentali dei lavoratori e della loro tutela (tra i vari, v. art. 41, comma 2° Cost.), in primis la dignità.

In particolare sono state toccate, da questo decreto, due tra le più grevi (per i lavoratori) disposizioni emanate nel corso della passata legislatura: il d.lgs. 81/2015 in materia di contratti a termine e il d.lgs. 21/2015 in materia di contratto a tutele crescenti.

Così si legge in premessa nel Decreto: “Il presidente della Repubblica, ritenuta la straordinaria necessità  e  urgenza  di  attivare  con immediatezza misure a tutela della dignità dei  lavoratori  e  delle imprese,  introducendo  disposizioni  per  contrastare  fenomeni   di crescente precarizzazione in ambito lavorativo,  mediante  interventi sulle tipologie contrattuali e sui processi  di  delocalizzazione…….”.

Nella legge delega n° 184/2014 (la “madre” del Jobs act) si prevedeva “l’emanazione di più decreti legislativi volti a promuovere il contratto a tempo indeterminato come forma  comune  di  contratto  di lavoro “rendendolo  piu’  conveniente  rispetto  agli  altri  tipi  di contratto in termini di oneri diretti e indiretti…” e si prevedeva l’introduzione del contratto a tutele crescenti “escludendo per i licenziamenti  economici  la  possibilita’ della reintegrazione del lavoratore nel posto di  lavoro,  prevedendo un  indennizzo  economico  certo  e  crescente  con  l’anzianita’  di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione…”. La modalità con cui, in sostanza, si è inteso rendere il contratto a tempo indeterminato “più conveniente” sta molto in questo, ovvero nel “limitare” le tutele dei lavoratori a fronte di licenziamenti pure dichiarati illegittimi.

E il prodotto di questa operazione quale è stato? mentre da un lato c’è stato l’azzeramento di tutele effettive e serie per i lavoratori, cui è correlato l’implicito avallo alle aziende di licenziare (in mancanza dell’effetto dissuasivo di una sanzione equa reintegratoria o quantomeno economica) dall’altro non solo è mancata l’abrogazione o, quantomeno, limitazione dei contratti a termine a-causali precedentemente introdotti (dalla Fornero, nei limiti di un anno), ma anzi si è confermata la possibilità alle aziende di stipularli, prorogarli o rinnovarli per un tempo davvero esagerato, ovvero fino a 36 mesi.

Lo sbilanciamento introdotto dal Jobs Act cui oggi, faticosamente, si sta tentando di porre rimedio, è questo, smaccato, evidente.

Per dirla anche in altre parole, sempre con riferimento ai contratti  termine a-causali: il jobs act aveva contribuito, nella sostanza, a confondere due istituti assolutamente diversi nelle finalità e nella struttura normativa: la prova e il termine nei contratti di lavoro. Per legge la prima deve durare al massimo sei mesi (o il tempo diverso, di norma molto inferiore, stabilito nei contratti collettivi). Ebbene, togliendo completamente e per un tempo di ben tre anni l’obbligo di causale si era contribuito a generare nel lavoratore la convinzione di essere costantemente in periodo di prova. E questa situazione ha comportato preoccupazione per il futuro e stati d’ansia, senza calcolare il danno, davvero inestimabile, di rinunciare a rivendicare diritti economici, sindacali, segnalare scorrettezze all’azienda ecc. Per queste ragioni la parola dignità è utilizzata senz’altro a proposito nel titolo del recentissimo Decreto Legge.

Si sta in questi giorni svolgendo in Parlamento l’iter della conversione in legge; sono state anche suggerite modifiche da molti tra noi giuristi a difesa dei lavoratori, alle quali rinviamo.

Invece le reazioni scomposte che stanno emergendo nel dibattito politico lasciano alquanto perplessi, in presenza di un provvedimento che lascia sostanzialmente intatto l’impianto dei risarcimenti a fronte del licenziamento illegittimo, e che semplicemente sta  cercando di ottemperare a quanto segnalato dal Parlamento europeo in una recentissima risoluzione.

Sul quest’ultimo punto: è stato dal D.L. Dignità ridotto il numero di mesi in cui si possa assumere, rinnovare o prorogare contratti a tempo determinato, incluso quello somministrato; in sostanza se esistono esigenze strutturali l’azienda non potrà assumere a termine (quanto meno non dopo dodici mesi); del resto che ragione avrebbe un’azienda di assumere a tempo determinato se ha bisogno di manodopera stabile? se invece sussistono esigenze temporanee, oggettive legate ad attività estranee a quelle ordinarie, oppure esigenze sostitutive o ancora esigenze connesse a incrementi significativi e non programmabili dell’attività ordinaria (picchi di lavoro) allora si potrà legittimamente assumere a tempo determinato, prorogare o rinnovare (non oltre 4 volte) entro il limite massimo di ventiquattro mesi.

Le causali per la proroga e il rinnovo oltre il dodicesimo mese sembrano – opportunamente – più limitative rispetto a quanto previsto dall’abrogato testo del d.lgs. 368/2001 (che prevedeva: “E’ consentita l’apposizione di un termine alla durata del contratto di lavoro subordinato a fronte di ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo”) dato che nel decreto compaiono parole e locuzioni più incisive rispetto a quelle – laconiche – contenute nel testo del 368.

* L’autrice dell’articolo è una delle curatrici del blog Area pro labour de ilfattoquotidiano.it.

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