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Troppo tempo su facebook? Il datore di lavoro potrebbe spiarvi e licenziarvi. Legittimamente.

19.03.2021 | Pubblicazioni

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L’uso dei social network è diventato parte integrante delle nostre abitudini.

Internet, con i suoi contenuti, è accessibile praticamente con ogni mezzo e da ogni dove, incluso il luogo di lavoro, che molto spesso non rappresenta una “zona interdetta alla navigazione”.

Così capita che le persone, trascorrendo al lavoro buona parte della loro giornata, non sempre aspettino le pause per connettersi, ma approfittano dei tempi morti che pur si verificano nel pieno della prestazione lavorativa o, alle volte, la interrompono volontariamente.

Nella maggior parte dei casi non c’è di sicuro l’intento di venire meno agli impegni lavorativi, ma semplicemente quello di curare gli aspetti sociali della propria vita privata. La prossimità fisica ed accessibilità rendono per certi aspetti tutto questo “naturale”.

Ciò non di meno, dedicarsi a queste attività in maniera non appropriata potrebbe presentare dei rischi.

La casistica ormai è varia.

Ad esempio, tempo fa il Tribunale di Milano ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente che aveva pubblicato sul suo profilo Facebook, accessibile a chiunque, foto scattate nel reparto, in atteggiamento non lavorativo, accompagnate da commenti sconvenienti e offensivi nei confronti dell’azienda; inoltre, era stato contestato che lo stesso dipendente aveva utilizzato un computer aziendale per visitare siti internet a contenuto pornografico.

In questo caso il lavoratore, oltre a non aver correttamente fornito la sua prestazione, dileggiando il datore di lavoro avrebbe violato quei doveri fondamentali di correttezza e/o legalità e civile convivenza immediatamente conoscibili da chiunque.

In un altro caso più peculiare, invece, il responsabile del personale ha avuto il sospetto che un operaio si dedicasse al suo profilo Facebook e non al lavoro, causando problemi alla produzione; lo stesso responsabile è stato allora autorizzato ad aprire un account civetta con il quale ha attirato l’attenzione del lavoratore indagato, che anziché astenersi dal ricambiare le attenzioni ha ceduto alla tentazione di relazionarsi – anche durante il suo lavoro – con il nuovo contatto.

Il licenziamento disciplinare, dunque, è intervenuto a seguito di una vera e propria indagine che sostanzialmente ha testato l’affidabilità del lavoratore; il licenziamento, inizialmente dichiarato illegittimo dal Tribunale, è stato invece dichiarato valido dalla Corte d’Appello e, infine, dalla Cassazione.

La Suprema Corte ha ritenuto infatti rispettato il principio secondo il quale sono legittimi i controlli, anche occulti, diretti a tutelare beni del patrimonio aziendale o a impedire la perpetrazione di comportamenti illeciti, purché i controlli non siano mirati a verificare l’esatto adempimento delle obbligazioni direttamente scaturenti dal rapporto di lavoro; come per il caso dell’account civetta, per bene aziendale può essere inteso anche il regolare funzionamento e la sicurezza dell’impianto al quale il lavoratore è addetto nonché, più in generale, i beni materiali veri e propri giustificandosi, esemplificativamente, le registrazioni video effettuate all’esterno dei locali aziendali per mere finalità “difensive”.

Si ritiene comunemente che questo genere di controlli (che possono essere svolti da personale interno o da agenzie investigative) non rappresentino una lesione della dignità e della riservatezza del lavoratore, che verrebbero invece pregiudicate allorquando i controlli venissero effettuati con un uso esasperato della tecnologia tale da rendere la vigilanza continua e costante (stile “grande fratello”), quindi preventiva e mirata specificamente a verificare – come detto – lo svolgimento della prestazione lavorativa in quanto tale.

Detto questo, ci si rende perfettamente conto che in alcuni casi la linea di confine potrebbe risultare estremamente labile e sottile soprattutto alla luce della nuova normativa.

L’art. 4 dello statuto dei lavoratori, che disciplina la materia, è stato riscritto dal Governo in forza della legge delega n. 183/2014 altrimenti detta Jobs Act.

Per quanto concerne gli impianti audiovisivi e “gli altri strumenti” dai quali derivi la possibilità di effettuare controlli a distanza, si prevede espressamente la sussistenza di un accordo con le Organizzazioni Sindacali, in linea con quanto avveniva secondo la normativa precedente.

L’innovazione che potrebbe avere effetti dirompenti è pero contenuta al comma secondo, il quale prevede che non siano di fatto necessari accordi preventivi con riguardo “agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze”.

È rilevante osservare che a chiusura del nuovo art. 4 St.Lav. è espressamente previsto che “le informazioni raccolte ai sensi del primo e del secondo comma sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003 numero 196” (codice della privacy).

Appare evidente che se a un lavoratore viene affidato uno smartphone o un tablet o, comunque e come frequente, svolge la sua prestazione con un personal computer connesso a internet, su tali dispositivi potrebbero essere installati software di controllo sul traffico dati effettuato dal lavoratore medesimo; analogamente, potrebbe essere monitorata per la stessa via l’attività lavorativa vera e propria.

Se tale potrebbe essere lo scenario sarà tuttavia importante, tra le altre cose, dichiarare in maniera chiara, trasparente e specifica le finalità di raccolta dei dati; ciò potrà essere da un lato un mezzo per garantire al lavoratore la necessaria consapevolezza della sua posizione e, dall’altro, uno strumento che vincoli il datore di lavoro a non utilizzare a scopo disciplinare i dati raccolti in violazione della legge a tutela della Privacy e/o dei principi costituzionali posti a tutela della dignità delle persone.

Questo articolo è stato pubblicato su ilfattoquotidiano.it nel blog area pro labour.

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