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Sicurezza sul lavoro: la tutela del lavoratore non si esaurisce nei presidi di protezione – di Chiara Vannoni e Monica Serra, 19 gennaio 2018.

22.03.2021 | Pubblicazioni

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La sicurezza sul lavoro nel nostro Paese è ancora un problema attuale e rilevante, che sale agli onori della cronaca solo in occasione di eventi gravi; di recente, la Cassazione ha ribadito l’importanza non solo dell’utilizzo di mezzi di protezione adeguati, ma anche di una tempestiva e dettagliata informazione del lavoratore in merito alla loro rilevanza, in particolare nelle fasi iniziali del rapporto di lavoro.

Dal comunicato stampa INAIL del 29 agosto 2017 sullo stato e numero degli infortuni sul lavoro in Italia, emerge che nei primi sette mesi del 2017 (per i dati relativi a tutto l’anno si deve attendere ancora qualche mese) sono aumentati sia gli incidenti che i morti sul lavoro, questi ultimi raggiungendo quota 591, ventinove in più rispetto allo stesso periodo del 2016.

Leggendo questi dati è evidente la gravità del problema, affrontato di recente anche dalla Corte di Cassazione, che con la sentenza 19 dicembre 2017 n. 30437 ha sottolineato che il datore di lavoro ha il preciso obbligo non solo di fornire scarpe, imbrago, elmetto e quant’altro protegga il lavoratore (i cosiddetti “dispositivi di protezione individuale”), ma deve anche informarlo in modo tempestivo e dettagliato dei rischi connessi all’attività e, soprattutto, deve vigilare sul corretto impiego da parte del lavoratore dei mezzi di protezione, obblighi questi ancora più rilevanti nelle fasi iniziali del rapporto di lavoro.

Il caso.

La sentenza prende avvio dall’infortunio occorso ad un dipendente di una impresa edile, caduto da una impalcatura sulla quale era salito per verificare la stabilità del ponteggio.

Sia il Tribunale che la Corte di Appello confermavano quindi il diritto dell’INAIL di agire in “regresso” nei confronti del datore di lavoro (cioè di chiedere al datore di lavoro, ritenuto responsabile per l’infortunio, la restituzione della somma indennizzata al lavoratore).

Già la Corte di Appello di Caltanissetta, infatti, aveva affermato che il datore di lavoro in aggiunta all’obbligo di fornire casco e cintura di sicurezza, aveva l’altro preciso dovere di assicurarsi che il lavoratore ne facesse un uso corretto.

Secondo il datore di lavoro, che ha proposto ricorso in Cassazione, i giudici di merito avevano errato il giudizio perché il lavoratore, a suo dire, si sarebbe recato sul luogo di lavoro senza aver ricevuto precise direttive del datore di lavoro e avrebbe posto in essere una condotta imprevedibile dall’impresa e che quindi non sarebbe stata alla stessa imputabile all’impresa.

La Corte di Cassazione ha però ritenuto infondato il ricorso proposto dall’impresa, rimarcando che “l’infortunio è avvenuto sul luogo di lavoro e nella esecuzione di una attività lavorativa in relazione alla quale lo stesso datore di lavoro, il quale accampa come propria giustificazione di “non avere impartito nessuna direttiva al lavoratore”, sostiene nel contempo di avergli fornito i necessari mezzi di sicurezza”. L’obbligo di tutelare la salute e la sicurezza del lavoratore sul luogo di lavoro non si esaurisce però nel fornire i presidi di sicurezza: il datore di lavoro deve individuare tutti i rischi presenti nel lavoro e informarne adeguatamente i lavoratori, anche vigilando sull’utilizzo dei mezzi antinfortunistici forniti.

Ma soprattutto, come sottolineato dalla Cassazione, il lavoratore era al suo primo giorno di lavoro ed era quindi inesperto.

Quando la tutela della salute e della sicurezza del lavoratore può dirsi effettiva?

Stando a guardare, la Cassazione ha espresso un principio affatto nuovo nell’ordinamento, cioè che l’obbligo del datore di lavoro non si esaurisce nella sola messa a disposizione degli strumenti e dei dispositivi di protezione, ma comprende anche la compiuta e completa valutazione dei rischi e si estende quindi sino alla sorveglianza e vigilanza del preciso rispetto delle disposizioni da parte del lavoratore.

La normativa in materia di salute e sicurezza è infatti incentrata sull’art. 2087 cod.civ. che dispone che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro; nel corso degli anni il concetto di tutela del lavortore è giunto a ricomprendere anche la necessità di valutare specificamente i rischi propri di un certo tipo di attività, messa in relazione non solo con le caratteristiche oggettive (per esempio i macchinari utilizzati), ma anche con la categoria di lavoratori impiegati.

Per questo motivo l’articolo 28 del D.Lgs. 81/2008 dispone che, oltre che rispetto ai luoghi di lavoro, alle attrezzature, alle sostanze usate, ecc., il datore di lavoro deve valutare anche i rischi riguardanti particolari categorie di lavoratori, tra cui quelle connesse alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi, e alla specifica categoria contrattuale: una cosa è, infatti, l’impiego di lavoratori addetti ad un tipo di mansioni da lungo tempo, un’altra è invece lo svolgimento di una attività con ricorso prevalente a tipologie di lavoro precarie o comunque non stabili, e quindi con lavoratori non formati sul lavoro e sui rischi connessi.

Il rischio lavorativo infatti – così come il rischio di incorrere in un infortunio – non è un concetto neutro, ma è anzi strettamente correlato alla persona che svolge le mansioni: nel caso di specie, mentre il lavoratore esperto avrebbe probabilmente saputo come muoversi su un’impalcatura pericolante, il lavoratore al suo primo giorno di lavoro, a cui peraltro non sono state fornite direttive specifiche, non ha le adeguate conoscenze, e anche per questo motivo avrebbe dovuto essere adeguatamente formato dal proprio datore di lavoro.

Quello che si può quindi ribadire, alla luce della sentenza della Cassazione, è che una adeguata prevenzione e tutela della salute del lavoratore passano necessariamente attraverso la contestualizzazione del rischio rispetto al luogo, al tempo e alla persona del lavoratore e pertanto alla valutazione concreta di tutti i rischi, siano essi legati all’attività o siano invece connessi alla categoria di lavoratori impiegati.

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