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I ragionevoli accomodamenti: la tutela della disabilità e le misure a tutela delle altre fragilità personali, familiari e sociali, Annalisa Rosiello – settembre 2022

19.09.2022 | Pubblicazioni

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A corredo del video sui ragionevoli accomodamenti troverete qui di seguito una scheda tecnica che illustra i passi da compiere e la normativa a tutela delle persone con disabilità e, più in generale, a tutela delle fragilità personali, familiari e sociali.

I ragionevoli accomodamenti: la tutela della disabilità e le misure a tutela delle altre fragilità personali, familiari e sociali

  • Premessa: casi esemplificativi
  • cosa dice la legge
  • sentenze
  • esemplificazione pratica delle buone prassi
  • come muoversi per la tutela del lavoratore

Premessa: casi esemplificativi

Capita sempre più spesso di ascoltare casi di persone, specialmente donne che hanno enormi difficoltà a conciliare la vita familiare con la vita lavorativa.

Si tratta di madri anche di più figli (in età ancora scolare), madri che hanno esaurito tutti i congedi e in generale le possibilità offerte dalla normativa di legge e contrattuale.

Ebbene, queste donne incontrano spesso enormi difficoltà a proseguire l’attività lavorativa e, contemporaneamente, a seguire i propri figli e spesso si trovano davanti all’alternativa di scegliere tra lavoro e famiglia.

Il dilemma che vivono, e che le destabilizza non poco, è da un lato quello di perdere l’indipendenza economica – dal compagno o dalla famiglia – o addirittura, nel caso di madri single, di perdere l’unica fonte di sostentamento per sé e per i figli. Dall’altro di trascurare la famiglia, esponendosi a rischi di natura psico-fisica, familiare, sociale e persino a conseguenze giudiziarie.

Si tratta anche di donne vittime di violenza, che hanno necessità di dedicare del tempo ad attività di udienza, a colloqui con psicologi e assistenti sociali, ad accompagnare a questi colloqui i figli che hanno assistito alla violenza oppure l’hanno a loro volta subita.

O ancora di persone (donne e uomini) che hanno genitori anziani con ridotta autosufficienza e costante necessità di supporto (per essere accompagnati a visite mediche, assistiti in periodi di degenza, ecc.), che non necessariamente godono dei permessi ex lege 104, e che vivono un temporaneo periodo di difficoltà al lavoro legato proprio a queste situazioni. O ancora di caregiver di familiari disabili in condizioni di gravità (ex lege 104).

Oppure di persone in età avanzata che hanno maggiori difficoltà nel lavoro (legata a maggiore morbilità, problematiche di salute legate all’invecchiamento, ecc.) o negli spostamenti.

Al tempo delle tecnologie e dei modelli organizzativi all’avanguardia, sembra incredibile che queste situazioni non vengano guardate con la giusta attenzione.

E in effetti in parecchie occasioni, specialmente nei grossi contesti imprenditoriali, lo sforzo richiesto all’organizzazione (in termini di adeguamento turni, part-time, smartworking, telelavoro, revisione dei processi, mutamento delle mansioni, ecc.) sarebbe davvero sostenibile, e comunque proporzionato e “ragionevole”.

La normativa sullo smartworking, ad esempio, specialmente nel pubblico impiego, introduce dei criteri di priorità nell’accesso a questa misura, soprattutto per chi vive situazioni di svantaggio personale, sociale e familiare (e per chi svolge attività di volontariato) [1].

Anche la normativa in tema di salute e sicurezza prevede un’attività di protezione specifica per gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, anche sul piano psico-sociale. Questi gruppi (lavoratrici in stato di gravidanza e allattamento, differenze di genere, età, provenienza da altri paesi, specifica tipologia contrattuale) sono contemporaneamente tutelati anche dalla normativa anti-discriminatoria e sono previste in loro favore “misure” di inclusione, “azioni positive” che assomigliano molto ai ragionevoli accomodamenti di cui ora diremo e che riguarda le persone con disabilità.

Per le persone con disabilità, infatti, esiste una normativa  molto forte, che punisce la c.d. discriminazione per omissione: se l’azienda non adotta soluzioni ragionevoli volte a salvaguardare la salute, la professionalità e il posto di lavoro commette una discriminazione, con tutte le conseguenze previste dalla legge.

E a noi si rivolgono sempre più spesso lavoratori che lamentano le sopra descritte criticità, accompagnati da funzionari o delegati, per affrontare all’interno delle aziende le loro problematiche e avere delle precise indicazioni su come gestire i rapporti con gli uffici del personale. Le soluzioni conservative più frequenti sono, per esempio, la ricollocazione su mansioni differenti, il part-time, la richiesta di turni differenti, lo smartworking, o, relativamente alle persone con disabilità, la gestione del periodo di comporto, la richiesta di aspettativa, ecc..

I casi arrivano purtroppo anche a rapporto già deteriorato, nel qual caso la richiesta è quella di un intervento vertenziale-legale dove si descrive la situazione di fragilità e viene invocata la normativa, la prassi e l’interpretazione di cui parleremo nella presente scheda. Stiamo molto lavorandoper spingere verso questa direzione sia per portare in Tribunale sempre più casi (laddove naturalmente non si riesce a trovare una soluzione sindacale), sia per inserire negli accordi integrativi aziendali disposizioni di favore a tutela di queste situazioni.

In questo breve contributo andremo quindi ad esaminare la normativa antidiscriminatoria a tutela della disabilità, nonché altre fonti normative e possibili interpretazioni che ci agevolano in percorsi di tutela per differenti fragilità personali, familiari e sociali come quelle più su esemplificate.

Conoscere queste norme e principi è indispensabile per poter “negoziare” sull’organizzazione del lavoro sia in ottica conservativa del rapporto sia nel caso di licenziamento. Muovendoci infatti nell’ambito del diritto anti-discriminatorio, vige il principio della nullità degli atti discriminatori di tipo diretto o indiretto o quelli legati alla mancata adozione di ragionevoli accomodamenti (o anche, come diremo, di misure o azioni positive). Di conseguenza anche gli “argomenti” con il datore di lavoro sono forti e convincenti, con l’effetto di una possibile maggiore spinta per ottenere, nel negoziato individuale o contrattuale, maggiori tutele per i lavoratori.

2) cosa dice la legge

La normativa sulla disabilità e in particolare quella sui ragionevoli accomodamenti ma anche altre norme a tutela di determinate categorie di soggetti senz’altro privilegiano, a condizioni di ragionevolezza, la salute, la dignità e l’eguaglianza.

Del resto già partendo dal dato costituzionale si può senz’altro affermare che – in presenza di determinate situazioni – l’organizzazione del lavoro e dell’impresa deve “piegarsi” alle esigenze del lavoratore (v. art. 41 primo comma cost, letto in combinato con art. 41, secondo comma cost. e artt. 2, 3 e 4).

Andiamo brevemente a esaminare la normativa a tutela della disabilità, e in particolare quella sui ragionevoli accomodamenti.

  • La definizione di questo istituto è contenuta  nella direttiva CE 2000/78: Art. 5, Dir. 2000/78: «Per garantire il rispetto del principio della parità di trattamento dei disabili, sono previste soluzioni ragionevoli. Ciò significa che il datore di lavoro prende i provvedimenti appropriati, in funzione delle esigenze delle situazioni concrete, per consentire ai disabili di accedere ad un lavoro, di svolgerlo o di avere una promozione o perché possano ricevere una formazione, a meno che tali provvedimenti richiedano da parte del datore di lavoro un onere finanziario sproporzionato. Tale soluzione non è sproporzionata allorché l’onere è compensato in modo sufficiente da misure esistenti nel quadro della politica dello Stato membro a favore dei disabili».
  • Anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità del 2006, approvata dalla CE e ratificata da una legge nazionale italiana definisce i ragionevoli accomodamenti come le modifiche e gli adattamenti appropriati, che non impongano un carico sproporzionato o eccessivo, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per assicurare alle persone con disabilità il godimento e l’esercizio, su base di eguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e libertà fondamentali”. Sempre la Convenzione ONU, recepita dalla legge italiana, equipara il rifiuto di adottare un accomodamento ragionevole a una discriminazione.
  • E così il decreto legislativo 216/2003, come modificato dalla legge 99 / 2013 prescrive il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone con disabilità, imponendo ai datori di lavoro privati e pubblici di adottare “accomodamenti ragionevoli” nei luoghi di lavoro per garantire ai disabili la piena uguaglianza [2]. Il datore di lavoro che ometta di adottare queste soluzioni commette discriminazione, come dicevamo.

A chi si applicano queste norme?

Si applicano senz’altro alle persone con disabilità riconosciuta (l. 68/99 e legge 104/1992) e si applicano anche, più in generale, a coloro che possono rientrare nella definizione comunitaria di disabilità, riportata tra le altre nella nota sentenza CGUE, HK Danmark, C-335/11, che prevede una  nozione sociale e dinamica di disabilità: «la disabilità è un concetto in evoluzione e (…) è il risultato dell’interazione tra persone con menomazioni e barriere comportamentali ed ambientali, che impediscono la loro piena ed effettiva partecipazione alla società su base di uguaglianza con gli altri». «Per persone con disabilità si intendono coloro che presentano durature menomazioni fisiche, mentali, intellettuali o sensoriali che in interazione con barriere di diversa natura possono ostacolare la loro piena ed effettiva partecipazione nella società su base di uguaglianza con gli altri».

  • Infine si riporta il contenuto della legge delega 227/2021 per il riordino di tutta la disciplina della disabilità (delega al Governo in materia di disabilità) che ricalca le nozioni enunciate dalla normativa comunitaria e dalla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità sopra richiamate. Nella legge delega si prevede l’“adozione di una definizione di «disabilità» coerente con l’articolo 1, secondo paragrafo, della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, anche integrando la legge 5 febbraio 1992, n. 104, e introducendo disposizioni che prevedano una valutazione di base della disabilità distinta da una successiva valutazione multidimensionale fondata sull’approccio bio-psico-sociale, attivabile dalla persona con disabilità o da chi la rappresenta, previa adeguata informazione sugli interventi, sostegni e benefìci cui può accedere, finalizzata al progetto di vita individuale, personalizzato e partecipato di cui alla lettera c) del presente comma ….”.

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  • Con riguardo alle altre categorie fragili di cui abbiamo detto nella premessa (caregiver, genitorialità, età avanzata, ecc.) cerchiamo di capire quale normativa può essere invocata per la miglior tutela delle lavoratrici e dei lavoratori, partendo dalla normativa in tema di salute e sicurezza (d.lgs. 81/2008, art. 28) e dal diritto anti-discriminatorio (dd.ll.gg.ss. 215 e 216 / 2003 e 198/ 2006).
  • A questo riguardo, a mente dell’art. 28, d. lgs. n. 81/2008, l’oggetto della valutazione dei rischi «deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato … e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza…, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione».
  • Già nelle finalità espresse all’art. 1, comma 1, d. lgs. n. 81/2008 si fa riferimento al «riassetto e la riforma delle norme vigenti in materia di salute e sicurezza garantendo tutela delle lavoratrici e dei lavoratori sul territorio nazionale attraverso il rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, anche con riguardo alle differenze di genere, di età e alla condizione delle lavoratrici e dei lavoratori immigrati».
  • Ebbene, esaminando i fattori di discriminazione previsti nel lgs. n. 198/2006, nei dd. llggss. n. 215 e 216 del 2003, nonché nel testo dell’art. 15 Stat. Lav., possiamo ricavare questo elenco: sesso, razza, etnia, religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale, orientamento o attività sindacale, orientamento politico.

Possiamo rilevare che i gruppi omogenei considerati dalle normative richiamate – rispettivamente in materia di sicurezza e di discriminazioni – sono in gran parte sovrapponibili.

In particolare sono identici i fattori genere/sesso ed età; anche il fattore di rischio provenienza da altri paesi trova sostanziale corrispondenza nel divieto di discriminazione per nazionalità sancito dal t.u. n. 286/1998 e, indirettamente, nei fattori di discriminazione relativi a razza, etnia, e per certi aspetti, religione.

Alla luce di quanto qui solo sinteticamente anticipato è possibile sostenere che questa sovrapponibilità non sia casuale; si può cioè sostenere che l’ordinamento abbia individuato categorie “particolarmente” a rischio sia “salute” che “discriminazione”, alle quali il datore di lavoro dovrà prestare particolare attenzione e per le quali sarà sempre più necessario porre in essere misure specifiche. Ciò non solo al fine di evitare i rischi connaturati alle singole categorie (ampiamente studiati, affermati e divulgati dalla scienza clinica e dalle fonti interne e internazionali), ma anche in ottica di prevenzione delle discriminazioni e delle condotte moleste.

Facciamo un esempio: con riguardo ai rischi legati alle differenze di genere, un’azione adeguata volta alla conciliazione e all’inclusione della lavoratrice, quale la concessione del part-time post-maternità in misura più ampia rispetto alle previsioni legislative o contrattuali collettive, l’accesso allo smart working o altre misure adeguate al contesto, ecc., può costituire di per sé uno strumento forte di promozione della salute e di prevenzione dei rischi ma – nello stesso tempo – può evitare che si sviluppino situazioni di mobbing/straining al rientro dalla maternità o di stress legato alle difficoltà di conciliare le esigenze lavorative con quelle familiari.

E gli esempi si possono moltiplicare e replicare anche per tutti gli altri fattori di rischio coincidenti con i fattori di discriminazione, in particolare – limitandoci in questa scheda ad affrontare solo alcune categorie a rischio – ai caregiver e alle persone in età avanzata.

  • Un passo ulteriore è stato compiuto dalla legge “Ciprini” (l. 162/2021) contenente modifiche al decreto legislativo in materia di pari opportunità uomo-donna. Questa legge, tra le varie novità, ha ampliato, o comunque precisato, la nozione di discriminazione indiretta di cui abbiamo parlato, stabilendo che rientrano in tale fattispecie tutti i trattamenti o le modifiche dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, in ragione del sesso, dell’età anagrafica, delle esigenze di cura personale o familiare, pongono il lavoratore in una posizione di svantaggio o ne limitano le opportunità.
  • Infine si richiama la direttiva CE 1158/2019 n° 1158 che gli Stati devono recepire con legge entro il 2 agosto 2022. Questa direttiva prevede tra l’altro “Modalità di lavoro flessibili” per le seguenti categorie:
  • I lavoratori con figli fino a una determinata età, che non deve essere inferiore a otto anni, e i prestatori di assistenza hanno il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili per motivi di assistenza.
  • Tali modalità comprendono l’uso del lavoro a distanza, calendari di lavoro flessibili o una riduzione dell’orario di lavoro.
  • Il datore di lavoro prende in considerazione le richieste entro un periodo di tempo ragionevole e motiva l’eventuale rifiuto o rinvio di tali modalità.
  • I paesi dell’Unione possono subordinare il diritto di chiedere modalità di lavoro flessibili a una determinata anzianità lavorativa o di servizio. Tale periodo non deve essere superiore a sei mesi.

3) sentenze

Con riguardo ai caregiver

Un’importante decisione della Corte di giustizia dell’unione europea afferma che la protezione offerta dal diritto antidiscriminatorio alle persone con disabilità deve trovare estensione anche ai caregiver.

CGUE, Coleman, Causa C-303/06: Lavoratrice (segretaria) madre di bambino disabile viene sottoposta ad angherie, mobbing e trattamenti sfavorevoli poiché costretta spesso ad usufruire di permessi ed assentarsi per assistere il figlio. Esasperata decide infine di dimettersi. Afferma in un passaggio la Corte: «Orbene, anche se in una situazione come quella di cui alla causa principale la persona oggetto di una discriminazione diretta fondata sulla disabilità non è essa stessa disabile, resta comunque il fatto che è proprio la disabilità a costituire, secondo la sig.ra Coleman, il motivo del trattamento meno favorevole del quale essa afferma essere stata vittima. (…) Una volta accertato che un lavoratore che si trovi in una situazione come quella di cui alla causa principale è vittima di una discriminazione diretta fondata sulla disabilità, un’interpretazione della direttiva 2000/78 che ne limiti l’applicazione alle sole persone che siano esse stesse disabili rischierebbe di privare tale direttiva di una parte importante del suo effetto utile e di ridurre la tutela che essa dovrebbe garantire» (punti 50-51).

Ma quindi questo significa che anche la normativa sui ragionevoli accomodamenti si applica anche ai caregiver familiari?

Nonostante la sentenza della corte di giustizia sopra richiamata, sul punto ci sono stati contrasti giurisprudenziali: da un lato il Tribunale di Roma (decreto 24 giugno 2019) ha affermato che la disciplina dei ragionevoli accomodamenti si applica solo alle persone con disabilità; dall’altro il Tribunale Ferrara (25 marzo 2019) ha applicato la nozione di discriminazione indiretta, affermando che: Trattare in maniera identica agli altri lavoratori in punto di orari e turni di lavoro una persona doppiamente protetta dall’ordinamento in ragione sia della maternità, sia della disabilità della figlia, comporta una discriminazione indiretta, in quanto una decisione del datore di lavoro apparentemente neutra pone la lavoratrice in una situazione di particolare svantaggio”.

Con riguardo al genere e alla genitorialità, si segnala una recente pronuncia del Trib. Bologna (Decreto di accoglimento 7759/2021 emesso ai sensi dell’art. 37 del d.lgs. n. 198 /2006) su un ricorso proposto in via d’urgenza dalla Consigliera Regionale di Parità per la Regione Emilia Romagna, la quale  lamentava che la società avesse posto in essere un comportamento discriminatorio di carattere collettivo nei confronti in particolare di dipendenti con mansioni di “addette al magazzino”, per essere state destinate ad un turno lavorativo non più con fascia oraria “centrale” dalle 8.30 alle 17.30, bensì a due turni alternanti, con fasce orarie il primo dalle 5.30 alle 13.30, il secondo dalle 14.30 alle 22.30.  La Consigliera ricorrente aveva illustrato come tale turnazione fosse discriminatoria (discriminazione indiretta) penalizzando in particolar modo  le lavoratrici madri con figli in tenera età – fino a 12 anni [3].

4) esemplificazione pratica delle buone prassi

Da quanto sopra riportato emerge come sia possibile, in presenza di particolari situazioni, incidere sull’organizzazione del lavoro da parte del lavoratore e del sindacato che lo assiste.

Sul piano individuale, a seconda delle situazioni sarebbe possibile trovare soluzioni quali:

Formazione specifica, riqualificazione, riorganizzazione turni, smartworking.

Sul piano collettivo si potrebbero inserire clausole per cui – in presenza di situazioni di particolare svantaggio personale familiare o sociale quali quelle qui trattate l’azienda si impegna ad adottare misure/azioni/soluzioni inclusive e volte, peraltro, a prevenire discriminazioni dirette, indirette e a tutelare la salute del lavoratore.

Ulteriori azioni, preliminari a quelle della negoziazione, sono:

  • programmare una formazione specifica destinata a RSU/RSA (deputati a chiedere i rapporti previsti dalla legge) e agli RLS per sviluppare una sinergia tra i ruoli e realizzare una contrattazione di secondo livello che tenga in considerazione i fattori di rischio in chiave di genere, età, disabilità, cura di familiari, ecc., che costituiscono la base per una corretta prevenzione;
  • organizzare eventi invitando medici, psicologi, sociologi che possano parlare al sindacato dei rischi specifici delle categorie di soggetti descritte nel presente vademecum.

5)Come muoversi per la tutela del lavoratore

Sul piano “politico” sarebbe necessario un intervento legislativo coordinato e completo che imponga alle aziende, a condizione di ragionevolezza, degli aggiustamenti organizzativi, logistici, tecnici nei riguardi di persone che versano in condizioni di svantaggio personale, familiare e sociale come nei casi esemplificati sopra

Si potrebbe in tal modo estendere esplicitamente a tutte le categorie fragili l’obbligo di adottare ragionevoli accomodamenti secondo la definizione sopra data per tutelare contemporaneamente la salute (2087, art. 28 TU e categorie a rischio) e la dignità del lavoratore (normativa antidiscriminatoria, stesse categorie di rischio).

La proposta potrebbe più o meno suonare così: “al decreto legislativo 9 luglio 2003, n° 216, art. 3, si aggiunge il seguente comma: Inoltre, al fine di garantire il rispetto del principio della parità di trattamento delle persone per età, genere e delle persone che si dedicano alla cura di familiari con disabilità, i datori di lavoro pubblici e privati sono tenuti ad adottare soluzioni ragionevoli e sostenibili dal punto di vista economico, tecnico, organizzativo, logistico e della formazione per garantire la piena eguaglianza con gli altri lavoratori. La non adozione di tali misure è considerata come discriminazione, ai sensi dell’art. 2, comma 1“.

In questo modo tutte le persone in condizioni di fragilità potrebbero avvantaggiarsi – a condizioni di ragionevolezza – di trattamenti favorevoli che non fanno altro che attuare l’articolo 3, secondo comma della nostra Costituzione (rimuovere gli ostacoli che impediscono l’uguaglianza). In attesa della norma la proposta sopra indicata potrebbe essere oggetto di clausole contrattual-collettive.

Del resto anche il recente protocollo “Orlando” sullo smartworking conferma quest’ultimo quale strumento di conciliazione per chi ha responsabilità genitoriali e di assistenza a familiari e, all’articolo 10, stabilisce che le Parti sociali si impegnano a “facilitare l’accesso al lavoro agile per i lavoratori in condizioni di fragilità e di disabilità, anche nella prospettiva di utilizzare tale modalità di lavoro come misura di accomodamento ragionevole”.

 

[1] V. D.lgs. 165/2001 (Testo unico PI) art. 7, comma 3° e Direttiva Presidenza Consiglio Ministri 2/2019, art. 3.4 (organizzazione del lavoro).

[2] Si riproduce un elenco di soluzioni ragionevoli esposto in dottrina (Prof. Giubboni, 2015) e relativo ai casi di disabilità: «in funzione delle concrete esigenze del singolo caso, oltre a interventi di natura materiale o strutturale (dalla sostituzione di macchinari alla introduzione di ausili o modifiche ergonomiche, sino alla ristrutturazione edile degli ambienti di lavoro), il trasferimento, il distacco, la riduzione o la riarticolazione dell’orario di lavoro, ad esempio con diversa distribuzione dell’impegno lavorativo nel contratto a tempo parziale, o ancora la rotazione o la esclusione da turni non più sostenibili, come anche – senza alcun dubbio – la redistribuzione delle mansioni, inevitabilmente coinvolgente anche altre posizioni lavorative insistenti sul medesimo contesto organizzativo aziendale». Per una accurata descrizione anche dei precedenti giurisprudenziali v. Tarquini, Oltre un intangibile confine: principio paritario, ragionevoli accomodamenti e organizzazione dell’impresa, nota a Cass. 6497/2021 https://www.questionegiustizia.it/articolo/oltre-un-intangibile-confine-principio-paritario-ragionevoli-accomodamenti-e-organizzazione-dell-impresa.

[3] V. decreto e commento di Laura Curcio, Lavoratrici madri e discriminazione per genitorialità in caso di modifiche di orari lavorativo: la cura dei figli riguarda ancora soprattutto le donne… a questo link https://www.questionegiustizia.it/articolo/lavoratrici-madri-e-discriminazione?fbclid=IwAR2_B_NScgDxVfPGdbb6wPJYnqT6JW43lK4DynpnrKFO_a_wmOS9ka1pnxc

 

 

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