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La prospettiva (concreta) di riforma dell’art. 2103 cod.civ. Cosa cambierà per i lavoratori?

19.03.2021 | Pubblicazioni

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di Chiara Vannoni, aprile 2015

La legge delega meglio nota come Jobs Act contiene disposizioni variegate che spaziano dall’introduzione (già avvenuta e già in vigore) del “Contratto a Tutele Crescenti” sino al riordino della normativa sugli istituti a sostegno del reddito e della disoccupazione passando – dato che oggi ci interessa – alla riforma di una norma che per oltre quarant’anni è stata uno dei fondamenti del diritto del lavoro.

Il panorama attuale: l’art. 2103 cod.civ. come norma cogente e la tutela della professionalità del lavoratore

 

L’art. 2103 c.c., è (era) difatti uno dei cardini del sistema di tutela del lavoratore, in ragione di un impianto rigido e cogente, ponendo l’obbligo, in capo al datore di lavoro, non solo di “far lavorare” il dipendente, garantendo quindi effettività al contratto, ma stabilendo anche il principio della necessaria equivalenza delle mansioni, il riconoscimento dell’accrescimento di professionalità (con lo svolgimento di mansioni superiori) e, con questi, il principio di invariabilità in senso deteriore delle mansioni (ricordiamo il testo della norma: “il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte, senza alcuna diminuzione della retribuzione. Nel caso di assegnazione a mansioni superiori il prestatore ha diritto al trattamento corrispondente all’attività svolta e l’assegnazione stessa diviene definitiva, ove no abbia avuto luogo per sostituzione di lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto, dopo un periodo fissato dai contratti collettivi e comunque non superiore a tre mesi”).

A fianco della lettera della norma, inoltre, una copiosa produzione giurisprudenziale aveva consentito di valorizzare non solo il concetto di equivalenza sostanziale delle mansioni, bensì anche il dato della professionalità, dal momento che la più accurata lettura dell’art. 2103 cod.civ., costituzionalmente orientata consente appunto di ritrovare il fondamento della tutela di uno specifico diritto alla qualifica e alla professionalità.

La disposizione contenuta nell’art. 2103 cod.civ. ha (aveva) carattere cogente ed inderogabile (salvi casi residuali): in sostanza, il divieto di demansionamento era posto a tutela della professionalità del dipendente in una volontà di tutela che potesse valorizzare il dato di arricchimento del bagaglio tecnico del lavoratore.

Infine, è necessario ricordare brevemente che la stessa giurisprudenza in materia di mansioni non poteva fare a meno di fondare la propria indagine sulla contrattazione collettiva, a cui spettava il ruolo di inquadramento che consentiva il ben noto percorso logico-giuridico finalizzato al raffronto tra mansioni realmente svolte, inquadramento e dato formale.

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