Stiamo attraversando una fase di grandi cambiamenti: il 5 giugno 2016 è entrata in vigore nel nostro ordinamento la legge n. 76/2016, meglio nota come Legge Cirinnà e a partire dal 27 gennaio scorso sono stati pubblicati in Gazzetta Ufficiale tre decreti attuativi. Si tratta del decreto n. 5/2017 che prevede l’adeguamento delle disposizioni dell’ordinamento dello stato civile in materia di iscrizioni, trascrizioni e annotazioni, nonché modificazioni e integrazioni normative per la regolamentazione delle unioni civili, il n. 6/2017 che reca modificazioni e integrazioni normative in materia penale per il necessario coordinamento con la disciplina delle unioni civili e il n. 7/2017 che prevede delle modifiche e il riordino delle norme di Diritto Internazionale Privato per la regolamentazione delle unioni civili.
L’Italia si pone quindi come il 27mo Paese Europeo che riconosce l’unione tra persone omosessuali, oltre alla convivenza di fatto tra persone sia eterosessuali, sia omossessuali, ovvero non sposate.
Ogni forma di famiglia prevista nel nostro ordinamento e cioè il matrimonio, l’unione civile e la convivenza determina diritti e doveri per le parti che le compongono; proprio al fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, l’art. 20 della L.76/2016 ha stabilito che “le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche a ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”.
Ne consegue che tutte le disposizioni normative, regolamentari o amministrative richiamate dalla legge n. 76/16, che contengano la parola “coniuge”, devono intendersi riferite ad ognuna delle parti dell’unione civile.
L’unico istituto che non ha trovato spazio nella Legge Cirinnà è quello dell’adozione, anche se all’articolo 3 si specifica che “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozioni dalle norme vigenti”. A seconda dei casi, il vuoto normativo potrà essere colmato a livello giurisprudenziale; alcune Corti di Appello e la Suprema Corte di Cassazione hanno, infatti, già riconosciuto a una coppia omosessuale l’adozione per tutelare l’interesse del minore.
Le nozioni di Unione Civile e coppia di fatto
Al fine di comprendere appieno quali diritti spettino agli uniti civilmente e alle coppie di fatto in ambito lavorativo, è opportuno soffermarci brevemente sulle caratteristiche di questi due nuovi istituti.
L’Unione civile, regolata dall’art. 1, commi 1 – 34, è formata da una coppia di persone dello stesso sesso, maggiorenni, capaci di agire, italiane o straniere e fa sorgere uguali diritti e doveri.
Gli uniti civilmente sono tenuti alla coabitazione e alla reciproca assistenza e devono contribuire ai bisogni comuni, concordano l’indirizzo della vita familiare e stabiliscono la residenza della famiglia. Con l’atto istitutivo dell’unione civile si instaura poi il regime di comunione legale dei beni; si può optare per la separazione dei beni stipulando davanti al notaio e a due testimoni una convenzione matrimoniale, annotata a margine dell’atto istitutivo.
Una norma peculiare del regime delle unioni civili rispetto al matrimonio è relativa al fatto che gli uniti civilmente possono stabilire di assumere un cognome comune, di anteporlo o di posporlo al proprio per la durata dell’unione. Questa è una facoltà che, se non esercitata, determina semplicemente il fatto che ciascuna parte mantiene il proprio cognome, mentre nel caso del matrimonio, per legge, la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito.
Ai sensi dell’art. 1 comma 24 della Legge Cirinnà, l’unione civile si scioglie per effetto della domanda di scioglimento, anticipata dalla dichiarazione di volontà resa tre mesi prima all’Ufficiale di Stato Civile. Il richiamo alle norme del titolo II, libro IV del Codice Civile è fatto in quanto esse siano “compatibili”: non sono dunque richiamate, perché incompatibili, le disposizioni sulla separazione dal momento che, nel caso di unione civile, è prevista la procedura di scioglimento diretto.
Il regime della convivenza di fatto (Art. 1, comma 36 – 65) disciplina, invece, la situazione di una coppia di persone di sesso diverso o dello stesso sesso, maggiorenni, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
La costituzione del rapporto presuppone che vi sia la coabitazione della coppia nello stesso luogo e che entrambe le persone della coppia risultino nello stesso stato di famiglia. Solo in questo caso si potrà procedere con la dichiarazione all’anagrafe della stabile convivenza; la pubblicità del rapporto dovrà poi risultare nello stato di famiglia anagrafico e le parti manterranno il cognome originario.
I conviventi potranno anche disciplinare le modalità della contribuzione e della partecipazione alle spese in un contratto di convivenza, che consente di regolare solo diritti di natura patrimoniale.
La convivenza termina d’ufficio in caso di cessazione della coabitazione di uno o entrambi i soggetti ovvero in caso di matrimonio o unione civile. Si ha scioglimento del rapporto anche su richiesta di una o di entrambe le parti interessati, qualora vengano meno i legali affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale.
Diritto del lavoro: quadro normativo e prassi per gli uniti civilmente
La disciplina delle due nuove forme familiari ha ovvie implicazioni anche per quanto riguarda i rapporti di lavoro.
In primo luogo la Legge Cirinnà estende direttamente agli uniti civilmente la corresponsione delle indennità degli articoli 2118 e 2120 cod.civ. Il comma 17 dispone che: “In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità indicate dagli articoli 2118 e 2120 del codice civile devono corrispondersi anche alla parte dell’unione civile”. Indennità sostitutiva del preavviso (art. 2118) e TFR devono essere applicati in caso di morte dei uno dei partner dell’unione all’altro partner.
Nel caso di scioglimento dell’unione civile, la parte unita civilmente “divorziata” ha diritto, se non è passata ad una nuova unione civile e se titolare di un assegno divorzile, a una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dal partner all’atto di cessazione del rapporto di lavoro, anche se l’indennità matura dopo la sentenza di divorzio. La percentuale è pari al 40 % dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con l’unione civile.
In ragione poi dell’estensione operata dall’art. 20, comma 1, citato in precedenza, il lavoratore unito civilmente può usufruire di diritti tipicamente assistenziali riconosciuti al “coniuge”.
Come illustreremo in seguito, sono, infatti, svariate le ipotesi in cui gli uniti civilmente potranno assentarsi dal lavoro senza perdere la retribuzione per garantire al proprio partner le cure necessarie.
L’art. 33 della Legge 104 prevede che il lavoratore dipendente che assiste – tra le altre persone – il coniuge in condizioni di disabilità ha diritto a tre giorni di permesso mensile e ha diritto a scegliere la sede di lavoro più vicina e a non essere trasferito senza il suo consenso.
L’ art. 42 comma 5 del D.Lgs. 151/2001 prevede invece il diritto in capo al coniuge convivente di soggetto con situazione di handicap grave di fruire del congedo continuativo o frazionato di due anni (c.d. congedo straordinario).
Il riconoscimento giuridico delle persone unite civilmente comporta che anche loro possano beneficiare dei permessi 104 per il compagno o la compagna, oltre al congedo straordinario fruibile fino a due anni.
L’INPS, con la circolare n. 38 del 27 febbraio 2017, ha precisato che i permessi 104 possono essere concessi in favore di un lavoratore dipendente, parte di una unione civile, che presti assistenza all’altra parte e alle coppie di fatto[1], mentre il congedo straordinario può essere richiesto solo dagli uniti civilmente
Tra una parte dell’unione civile e i parenti dell’altro non si costituisce un rapporto di affinità, dato che l’art. 78 del Cod. civile non viene espressamente richiamato dalla L. 76/2016. Stando alla lettera della norma ne consegue che, a differenza dei coniugi, la parte di un’unione civile può usufruire dei permessi solo nel caso in cui presti assistenza all’altra parte dell’unione e non nel caso di assistenza rivolta ad un parente dell’unito. Questa impostazione potrebbe essere contrastata in via interpretativa ricorrendo al diritto antidiscriminatorio (v. infra).
La domanda per beneficiare dei tre giorni di permesso ex L.104/1992 può essere presentata da uniti civilmente e conviventi in modalità cartacea e inoltrata all’INPS di competenza a mezzo Pec o raccomandata.
L’INPS sostiene invece che il congedo biennale retribuito spetti solo alla parte dell’unione civile che assiste l’altra parte; in via alternativa e al pari del coniuge, l’unito civilmente è il primo soggetto avente diritto. Anche in questo caso, non essendoci un rapporto di affinità tra le parti, l’unito civilmente non può richiedere il congedo per prestare assistenza ad un parente dell’unito. Valgono tuttavia le perplessità già sopra esposte.
Possono usufruire del congedo secondo il seguente ordine di priorità:
- Il coniuge convivente / la parte dell’unione civile convivente della persona disabile in situazione di gravità
- Il padre o la madre, anche adottivi o affidatari, della persona disabile in situazione di gravità in caso di mancanza, decesso o in presenza di patologie invalidanti del coniuge convivente / della parte dell’unione civile convivente
- Uno dei figli conviventi della persona disabile in situazione di gravità, se coniuge convivente/ unito civilmente e entrambi i genitori siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti
- Un parente o affine entro il terzo grado convivente con la persona disabile in situazione di gravità, nel caso in cui coniuge convivente/unito civilmente convivente, entrambi i genitori e i figli conviventi siano mancanti, deceduti o affetti da patologie invalidanti
Sempre in ambito assistenziale sono altre le norme valide per i coniugi che si applicano agli uniti civilmente.
L’art. 4 comma 1 legge 53/2000 prevede il permesso retribuito di tre giorni in caso di decesso o di grave e documentata infermità del coniuge; in alternativa a questo permesso la legge prevede anche la facoltà per le parti (del rapporto di lavoro) di concordare diverse modalità di prestazione dell’attività lavorativa.
Per fruire del permesso, l’interessato deve comunicare previamente al datore di lavoro l’evento che consente il permesso in questione e i giorni nei quali sarà utilizzato. I giorni di permesso devono essere utilizzati entro sette giorni dal decesso o dall’accertamento dell’insorgenza della grave infermità o della necessità di provvedere a conseguenti specifici interventi terapeutici
L’ art. 4 comma 2 della stessa legge prevede la possibilità di godimento del congedo di due anni nel caso di “gravi e documentati motivi famigliari”: questa norma, da leggersi insieme al Decreto Ministeriale di attuazione, consente di estendere alle unioni civili/coppie di fatto anche il congedo non per ragioni di handicap, ma per tutti i gravi motivi legali al decesso, a malattia o tossicodipendenza della persona unita civilmente partner ovvero di un familiare del partner.
Tutte queste fattispecie trovano poi la loro regolamentazione pratica nei contratti collettivi, che come abbiamo visto sono ugualmente interessati dall’effetto estensivo del comma 20 indicato in precedenza.
Vi sono poi altre ipotesi di immeditata applicazione, quali ad esempio il congedo matrimoniale e il corrispondente divieto di licenziamento per causa matrimonio: il senso della Legge Cirinnà e dell’art. 35 D.lgs. 198/2006 è certamente quello di estendere il divieto di licenziamento nell’anno successivo alla celebrazione del matrimonio anche alle unioni civili.
Anche se l’art. 35 D.lgs. 198/2006 parla di “licenziamento della lavoratrice”, da tempo la giurisprudenza ha ritenuto che la migliore interpretazione sia nel senso di ritenere nullo il recesso irrogato anche al lavoratore. In forza di questa interpretazione il divieto in questione dovrà applicarsi anche alle unioni civili.
Sempre per quanto concerne lo svolgimento del rapporto di lavoro, la legge Fornero (L.92/2012) ha modificato la disciplina del contratto di lavoro a tempo parziale, intervenendo in particolare sulle disposizioni relative alla clausole elastiche e flessibili e in particolare sulla facoltà del lavoratore di revocare il proprio consenso e/o di modificarne il contenuto.
Il comma 20, lett. a) dell’art. 1, della Legge n. 92 del 2012 ha introdotto il n. 3 bis) all’art. 3, comma 7, Decreto legislativo n. 61/2000, conferendo ai contratti collettivi la facoltà di stabilire le “condizioni e modalità che consentono al lavoratore di richiedere l’eliminazione ovvero la modifica delle clausole flessibili e delle clausole elastiche …“.
Con la successiva lett. b), del comma 20, dell’art. 1, la Legge Fornero è intervenuta per consentire al lavoratore, che si trovi nelle condizioni di cui:
- “agli artt. 12 bis, del decreto legislativo n. 61/2000, (lavoratori o familiari affetti da patologie oncologiche)
- all’art. 10 dello Statuto dei Lavoratori (lavoratori studenti, iscritti e frequentanti corsi regolari di studio in scuole di istruzione primaria, secondaria e di qualificazione professionale, statali, pareggiate o legalmente riconosciute o comunque abilitate al rilascio di titoli di studio legali)
di revocare il consenso allo svolgimento della prestazione orario parziale in forma elastica o flessibile”.
Anche l’unito civilmente potrà revocare il consenso alle clausole elastiche relative al part time per assistere il partner affetto da patologie oncologiche
Diritto del lavoro: quadro normativo e prassi per le coppie di fatto
Contrariamente alle unioni civili, il rapporto tra i conviventi non è assimilabile a un matrimonio e pertanto le tutele riconosciute dalla legge alle coppie di fatto sono inferiori.
Per la L. 76/2016 i conviventi hanno gli stessi diritti del coniuge in ipotesi di detenzione, malattia o ricovero ospedaliero di uno di essi (visita, assistenza, accesso alle informazioni personali).
In particolare, proprio in ambito assistenziale, si applica alle coppie di fatto l’art. 33 L. 104/1992 che consente al convivente di usufruire dei permessi mensili retribuiti per l’assistenza alla persona con disabilità in situazione di gravità. Per l’accertamento della stabile convivenza, si deve considerare la dichiarazione anagrafica di cui all’art. 4 e alla lettera b) dell’art. 13, comma 1 del regolamento anagrafico di cui al DPR del 30 maggio 1989 n. 223.
Con la circolare n. 38/2017, l’Inps ha, invece, precisato che, mentre i permessi spettano sia agli uniti civilmente, sia alle coppie di fatto, il congedo straordinario può essere fruito solo dagli uniti civilmente.
Si evidenzia, tuttavia, che l’Inps ha fornito solo dei suggerimenti riguardo l’utilizzo dei permessi e dei congedi da parte degli uniti civilmente e delle coppie di fatto; nella circolare n. 38 l’Ente non chiarisce, infatti, i motivi per cui solo gli uniti civilmente possano beneficiare del congedo straordinario retribuito e non i conviventi.
Considerato che condizione per la fruizione del beneficio è la convivenza con la persona affetta da Handicap grave, riteniamo che la domanda possa essere presentata anche dalle coppie di fatto per prestare assistenza al proprio convivente.
Sempre in ambito assistenziale, i conviventi possono richiedere, oltre ai permessi ex art. 33 L.104/1992, anche il permesso retribuito di tre giorni in caso di decesso o di grave e documentata infermità ex art. 4 comma 1 legge 53/2000 e il congedo di due anni nel caso di “gravi e documentati motivi famigliari ex art. 4 comma 2 legge 53/2000.
Altra disposizione sulle convivenze di fatto relativa ad un profilo giuslavoristico è quella relativa all’impresa familiare. L’art. 230 ter codice civile statuisce che “al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato”.
Anche nei contratti collettivi si potranno estendere determinati istituti e/o tutele anche ai conviventi dei dipendenti. Basti pensare ad alcuni accordi collettivi aziendali che attribuiscono ai dipendenti benefit quali la polizza sanitaria o l’utilizzo promiscuo dell’autovettura aziendale, fruibili – a certe condizioni – anche dai loro conviventi.
In questi casi sarà importante, contratti aziendali alla mano, verificare con attenzione se e cosa sia previsto a favore dei lavoratori conviventi di fatto.
Diritto antidiscriminatorio e conclusioni
Vi è infine il diritto antidiscriminatorio che fornisce una tutela forte anche rispetto a discriminazioni che riguardano l’orientamento sessuale. Di fronte a eventuali nuove forme di discriminazione basate sull’unione civile/coppie di fatto e che si riflettono sul rapporto di lavoro, le forme di tutela saranno quelle volte alla rimozione delle discriminazione e al risarcimento del danno (si pensi ad esempio alla discriminazione del lavoratore unito civilmente che beneficia della 104 per il compagno).
Le norme che vietano la discriminazione sessuale e promuovono le pari opportunità e che quindi dovranno applicarsi anche agli uniti civilmente sono, tra le altre:
- Decreto legislativo n.198 del 11/04/2006 denominato “Codice delle pari opportunità”
- Decreto legislativo n. 216 del 9/07/2003
- Legge 300/1970 “Statuto dei lavoratori” : l’art. 8 pone il “divieto di indagini sulle opinioni” e l’art. 15 vieta i comportamenti discriminatori
- TU 81/2008: l’art. 28 stabilisce la necessità di prevenire lo stress da lavoro con riguardo a quello legato alle differenze di genere
- Decreto legislativo n.276/2003: l’art. 10 vieta alle agenzie per il lavoro e agli altri soggetti pubblici e privati autorizzati o accreditati di effettuare qualsivoglia indagine o comunque trattamento di dati ovvero di preselezione di lavoratori.
Questa è una prima panoramica sull’effetto di estensione di diritti che fino a ieri erano preclusi in ragione dell’assenza del riconoscimento delle unioni civili/coppie di fatto. Saranno le interpretazioni e la prassi ad arricchire e precisare ulteriormente questa disciplina tanto attesa.
Articolo in fase di pubblicazione nella rivista Pianeta Lavoro e Tributi di Teleconsul
[1] Con la sentenza n. 213 del 5 luglio 2016, la Corte Costituzionale ha, infatti, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 33, comma 3 della L. 104/1992 nella parte in cui non include il convivente tra i soggetti legittimati ad usufruire del permesso mensile retribuito per l’assistenza alla persona con disabilità in situazione di gravità, in alternativa al coniuge, parente o affine di secondo grave. Sulla base di questa sentenza si è quindi chiarito che anche gli uniti civilmente possano usufruire dei permessi 104, ma con alcune differenze rispetto a quanto previsto per i coniugi