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Smart working: una possibile misura contro “il doppio fardello delle donne”? di Martina Costantino, 20 luglio 2017

22.03.2021 | Pubblicazioni

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Alcuni dati statici recenti riportano che ogni donna italiana dedica alle attività casalinga, alla cura dei figli e dei familiari anziani circa 326 minuti al giorno. Va da sé che se, dopo una tradizionale giornata lavorativa di otto ore, una donna tipo spende altre cinque ore e mezza del suo tempo libero a lavorare al di fuori del posto di lavoro, sarà maggiormente esposta a stress con conseguenze negative sulla qualità della vita e sulla salute. È il “doppio fardello delle donne”, così lo definisce l’OSCE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo. Come prevenire quindi situazioni che, oltre a danneggiare il benessere e la salute delle lavoratrici, possono anche comportare effetti discriminatori o addirittura molestie morali?

Le misure preventive concrete potrebbero essere di tipo organizzativo, logistico e gestionale. Invero, proprio l’art. 42 del d.lgs. 198/2006 stabilisce l’adozione di azioni volte tra le altre a “favorire, anche mediante una diversa organizzazione del lavoro, delle condizioni e del tempo di lavoro, l’equilibrio tra responsabilità familiari e professionali e una migliore ripartizione di tali responsabilità tra i due sessi”.

Ma vi è di più, un rapporto Eurosta ha mostrato come le aziende che hanno ricercato soluzioni alternative per adattarsi alle necessità di interazione “famiglia-lavoro”, non solo hanno operato una buona prevenzione, allontanando il rischio di discriminazioni, ma hanno anche ottenuto molteplici benefici: elevata produttività; aumento della motivazione dei dipendenti; capacità di attrarre buone professionalità; capacità di trattenere i talenti; diminuzione dell’assenteismo.

Uno strumento promozionale e preventivo perfettamente compatibile con quanto finora detto ce lo offre una recentissima Legge, la n. 81 del 22 maggio 2017, atta proprio a stabilire misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato. La Legge, al capo II, fa definitivamente entrare nel nostro ordinamento giuridico il c.d. smart working o lavoro agile.

In particolare, l’istituto è regolato agli articoli 18 – 24 che non lo configurano come un nuovo tipo contrattuale, bensì come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti, anche con forme di organizzazione per fasi, cicli e obiettivi e senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa” (art. 18, comma 1, L. 81/2017).

Si tratta quindi di un diverso modo, in termini spazio-temporali, di eseguire la prestazione da parte del lavoratore, al fine di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Al dipendente, pubblico o privato, saranno pertanto riconosciuti tutti i diritti di un tradizionale rapporto di tipo subordinato: sarà medesimo il trattamento economico e normativo dei lavoratori agili rispetto alla generalità dei dipendenti occupati in azienda. Si esclude infatti che il datore di lavoro possa usare lo smart working per rispondere a finalità di risparmio sul costo di lavoro. L’art. 20, comma 1, L. 81/2017, invero, prevede che gli smart workers non possano essere destinatari di un trattamento economico e normativo deteriore rispetto a coloro che svolgono la stessa mansione all’interno dei locali aziendali. Il datore di lavoro dovrà corrispondere quindi tutti gli istituti previsti dalla contrattazione collettiva di primo e secondo livello in termini, ad esempio, di paga base, contingenza, terzo elemento, scatti di anzianità, tredicesima e quattordicesima mensilità, TFR, nonché in termini di ferie, permessi, riduzione di orario, congedi, ecc.

Il lavoro agile può configurarsi quindi come uno strumento utile per “correggere” le difficoltà che si incontrano nella conciliazione vita-lavoro. Ciò naturalmente non vale solo per le donne, ma per chiunque viva o senta questo tipo di esigenza. Si pensi ai caregivers, a tutti coloro che hanno la necessità di essere maggiormente presenti per la famiglia, ai giovani lavoratori o agli studenti. Ovviamente lo smart working andrebbe, ad avviso di chi scrive, adeguatamente monitorato dato che potrebbe innescare, nel tempo, perdita di attitudini relazionali nella persona, isolamento e marginalizzazione dal contesto lavorativo e sociale.

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