– OFFESE ALLA SESSUALITA’ E PROVA PRESUNTIVA DEL DANNO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, ordinanza 19 febbraio 2019 n. 4815
In caso di offesa alla sessualità, la prova del danno non patrimoniale può essere presuntiva.
La pronuncia trae origine dal caso di un dirigente reiteratamente destinatario di espressioni offensive rispetto alla sua sessualità, espresse dal legale rappresentante della società anche davanti a colleghi e sottoposti, in un contesto quindi di sistematica offesa; proprio la modalità delle offese hanno indotto la Corte di Cassazione a ritenere sussistente la lesione della personalità morale del lavoratore e quindi la sussistenza di un danno non patrimoniale.
Infatti, anche se la società ha contestato il fatto che il lavoratore non avrebbe prodotto sufficienti allegazioni sul danno patito, i giudici hanno ritenuto che la prova dell’esistenza del danno si potesse ricavare presuntivamente in ragione del contenuto dispregiativo delle espressioni rivoltegli, della reiterazione delle offese, delle modalità e dei contesti in cui venivano arrecate (anche in presenza di altri dipendenti anche inferiori all’offeso) e delle difficoltà di reazione per l’essere l’offeso un lavoratore subordinato.
Il danno è stato poi liquidato in via equitativa.
– DISCRIMINAZIONE E LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 18 gennaio 2019 n. 1377
Il licenziamento discriminatorio è nullo per diretta violazione di norme di diritto interno e, a differenza del caso del licenziamento ritorsivo, la sua natura discriminatoria non può essere sanata o esclusa dalla concorrenza di un’altra causale di licenziamento, come ad esempio quella economica.
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 4 febbraio 2019 n. 3196
Costituisce discriminazione indiretta di genere la mancata assunzione come capotreno di una donna che non raggiunge l’altezza minima fissata dal bando di assunzione e fissata in maniera uguale per ambo i sessi.
Nel caso di specie, infatti, non solo un limite di altezza uguale per uomo e donna statisticamente sfavorisce i candidati di sesso femminile, ma nemmeno può dirsi giustificato in relazione al contenuto delle mansioni da ricoprire.
– REINTEGRAZIONE –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 11 febbraio 2019 n. 3899
In caso di accertata codatorialità, sono solidalmente obbligate alla reintegrazione e risarcimento del danno tutte le imprese fruitrici della prestazione di lavoro della lavoratrice illegittimamente licenziata.
Nel caso di specie, una lavoratrice in maternità era stata licenziata per cessazione dell’attività della sua formale datrice di lavoro, e ciò anche se aveva svolto in maniera indistinguibile le stesse mansioni anche in favore di altre società. Di conseguenza, la lavoratrice ha sostenuto in giudizio l’illegittimità del suo licenziamento perché la cessazione dell’attività riguardava soltanto uno dei datori di lavoro.
Accertata in giudizio la codatorialità del rapporto di lavoro della lavoratrice, questa ha ottenuto dal giudice la dichiarazione di nullità del licenziamento, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui all’art. 18, co. 1, St. Lav. poste solidalmente a carico di tutte le imprese che hanno solidalmente fruito delle sue prestazioni di lavoro.
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 7 febbraio 2019 n. 3655
Il caso in esame riguarda un dipendente che durante l’ultimo giorno di un periodo di malattia ha lavorato per due ore presso la pizzeria della moglie, per essere poi licenziato.
Valutata la modesta prestazione lavorativa effettuata, il fatto che questa si è svolta nella sera dell’ultimo giorno di malattia, che il lavoro era compatibile con la patologia denunciata e che non vi era stato alcun aggravamento delle condizioni di salute, i giudici hanno ritenuto il licenziamento illegittimo e hanno applicato la tutela reintegratoria.
La decisione è rilevante poiché, in regime di legge Fornero, i giudici hanno qualificato la condotta del lavoratore lecita e dunque insussistente il fatto contestato, applicando la tutela reintegratoria.
– LICENZIAMENTO DEL DIRIGENTE –
Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 18 febbraio 2019 n. 4685
Nell’ambito del rapporto di lavoro del dirigente è ingiustificato ma non nullo il licenziamento intimato senza il previo esperimento di un procedimento disciplinare.
Nel caso in esame un dirigente, indagato per un reato incompatibile con la sua permanenza presso il datore di lavoro, è stato licenziato “per giusta causa oggettiva” ma senza il previo espletamento di alcun procedimento disciplinare.
La Corte ha dunque sottolineato che la sottoposizione a un procedimento penale non è sufficiente a giustificare un licenziamento per giusta causa e che la colpevolezza del dipendente deve essere accertata nelle forme di cui all’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori ma che, in ogni caso, la mancata attivazione del procedimento disciplinare non comporta la nullità del recesso ma la sola ingiustificatezza dello stesso.