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Rassegna giurisprudenziale 10 ottobre 2017, a cura di Monica Serra

12.03.2021 | News

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– DISCRIMINAZIONE PER ETA’ –

Tar Lombardia, Reg. Prov. Cau. 25 settembre 2017 n. 1240

Nelle scorse settimane il Tar della Lombardia ha emesso un provvedimento cautelare d’urgenza e inaudita altera parte su un caso di discriminazione per età in un concorso indetto da un Ateneo italiano.

In particolare, una dottoranda di ricerca si era vista esclusa da un bando per un assegno di ricerca perché, a dispetto dei requisiti di ammissione previsti dal bando stesso, aveva già compiuto 35 anni di età.

Pertanto in sede di ricorso – chiedendo l’annullamento del bando e, in via preliminare, la riammissione alla selezione –  la dottoranda aveva segnalato come tale requisito fosse discriminatorio non solo in relazione alla normativa italiana in tema di assegnazione di borse di studio, ma anche rispetto alla normativa comunitaria, che estende il divieto di discriminazione per motivi di età anche ai ricercatori.

Per questo motivo, con provvedimento cautelare emesso in urgenza e inaudita altera parte il giudice ha disposto la riammissione della candidata alla procedura selettiva.

– SUBORDINAZIONE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 3 ottobre 2017 n. 23056

In caso di accertamento della subordinazione, questa non può dirsi esclusa dalla saltuarietà delle prestazioni rapportata alle necessità aziendali e dalla disponibilità della lavoratrice.

Nel caso esaminato il rapporto di lavoro di una cameriera ai piani era stato ritenuto dalle corti di merito non subordinato per difetto di continuità nelle prestazioni, che venivano rese in maniera saltuaria rispetto alle richieste del datore di lavoro.

Ciò posto, la Corte di Cassazione ha corretto tale assunto ricordando che il rapporto di lavoro subordinato non postula necessariamente una continuità giornaliera delle prestazioni lavorative, dato che le parti possono stabilire anche per fatti concludenti una prestazione lavorativa articolata, ad esempio, sul modello del lavoro a chiamata, del lavoro intermittente o anche del part-time verticale.

– LEGGE 104 –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 29 settembre 2017 n. 22925

Con una recente sentenza la Corte di Cassazione ha confermato che anche in caso di part-time verticale il lavoratore che assiste un disabile grave può avere diritto ai tre giorni di permesso ex l. 104/1992.

Infatti, nonostante i tre giorni di permesso debbano essere riconosciuti in caso di lavoro a tempo pieno, i Giudici hanno stabilito che vanno concessi nella loro interezza anche nel caso di un part-time verticale la cui prestazione lavorativa sia convenuta nel 2/3 di quella a tempo pieno.

Secondo la Corte è importante ricordare la funzione protettiva della norma indicata (tutelare l’interesse primario del disabile anche alle cure e all’assistenza in ambito familiare), nonché la disciplina del lavoro a tempo parziale, che in linea di massima prevede un riproporzionamento solo degli istituti di tipo patrimoniale, il tutto in comparazione con gli interessi dell’impresa e del lavoratore.

Per questo motivo la Corte ha ritenuto che nel caso in cui il part-time superi il 50% debbano essere riconosciuti integralmente i tre giorni di “permesso 104”.

– TRASFERIMENTO D’AZIENDA –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2017 n. 22291

Anche nel caso in cui il passaggio tra due società avvenga a seguito di un provvedimento amministrativo ricorre un trasferimento d’azienda, in ossequio al consolidato orientamento in materia di conservazione dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d’azienda e in conformità con la disciplina comunitaria.

Nel caso esaminato è stato riconosciuto il diritto di un lavoratore – nei confronti dell’impresa subentrante per effetto di un atto della pubblica amministrazione – a vedere computata nella base di calcolo del TFR anche l’ “indennità di disagio” da sempre corrispostagli mensilmente per la gravità del lavoro straordinario prestato.

– DEMANSIONAMENTO –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 25 settembre 2017 n. 22288

Da una recente interpretazione della Cassazione in un caso di demansionamento sembrerebbe di poter considerare il danno esistenziale come danno in re ipsa.

Il demansionamento, trattandosi di una lesione di diritti del lavoratore costituzionalmente garantiti, comporta il risarcimento del danno non patrimoniale eventualmente provocato e, dunque, anche del c.d. danno esistenziale; la Corte ha dunque ribadito il principio secondo cui – pur rimanendone la prova in capo al lavoratore – possono essere indici presuntivi del danno gli elementi ipotizzabili in ogni caso di demansionamento. Questi indici possono essere ravvisati nella “lesione alla dignità personale e al prestigio professionale” del lavoratore, così configurando una presunzione di danno secondo l’id quod plerumque accidit.

– SVOLGIMENTO DI ATTIVITA’ LAVORATIVA DURANTE IL PERIODO DI MALATTIA –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 19 settembre 2017 n. 21667

Non sempre il lavoratore che svolga altra attività lavorativa durante un periodo di malattia può essere legittimamente licenziato.

Nel caso di specie un conduttore di autotreno, assente dal lavoro per infortunio, era stato licenziato perché durante alcuni giorni di assenza si era recato nel pomeriggio e con la propria autovettura presso l’esercizio commerciale del figlio, dove era stato visto spostare piccoli carichi e provvedere alla apertura e chiusura della saracinesca del locale.

Ebbene, la Corte di Cassazione ha dichiarato l’illegittimità del licenziamento in quanto le attività contestate non sono idonee a rivelare una simulazione di malattia né a ritardare la guarigione del lavoratore.

– LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE PADRE –

Tribunale di Milano, sezione Lavoro, sentenza 18 settembre 2017, Est. Giud. Dossi

Nelle scorse settimane il Tribunale di Milano si è pronunciato su un caso di licenziamento discriminatorio di un lavoratore padre, licenziato per asserito giustificato motivo oggettivo al rientro dall’assenza dovuta alla nascita della figlia.

Il giudice adito, dopo aver ricostruito l’istituto della discriminazione e i relativi oneri probatori anche alla luce del diritto europeo, ha individuato una serie di elementi presuntivi del carattere ritorsivo del recesso, tali da imporre al datore di lavoro la prova dell’assenza del carattere discriminatorio dell’atto di recesso. Ne è dunque conseguita la dichiarazione di nullità del recesso e il diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.

– CONTRATTI A TERMINE NEL SETTORE DELLO SPETTACOLO –

Tribunale di Milano, sezione Lavoro, sentenza 14 settembre 2017, Est. Giud. Bertoli

Secondo il Tribunale di Milano è illegittima per contrasto con il diritto europeo la disciplina sui contratti a termine per i lavoratori dello spettacolo contenuta nell’avviso sindacale comune del 2009 per il settore delle troupe cinematografiche e televisive.

Nello specifico, un lavoratore ha impugnato una lunga serie di contratti a termine stipulati con una società di produzione televisiva precisando che, con riferimento al termine di decadenza di cui all’art. 32 della l. 183/2010, questo si applica solo per i vizi relativi al termine inizialmente apposto al contratto, e non al caso dell’impugnazione proposta per superamento del limite massimo di durata del rapporto.

Nel merito, il giudice ha ritenuto che l’avviso comune del 2009 stipulato dalle organizzazione sindacali per le troupe del settore cinema e audiovisivi, che consente la reiterazione illimitata dei contratti a termine, sia in contrasto con l’art. 5 del d.lgs. n. 368/2001 e con la direttiva comunitaria 1999/70. L’art. 5 della direttiva citata, infatti, autorizza la contrattazione collettiva a individuare limiti diversi da quelli stabiliti dalla legge, pur rispettosi delle regole europee, e non a rimuovere ogni limite.

Ne consegue, pertanto, l’illegittimità di tale previsione e il diritto del lavoratore alla costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dalla data di superamento dei 36 mesi.

– MOBBING –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 3 ottobre 2017 n. 23041

La Corte di Cassazione ha recentemente statuito che irrogare a un dipendente delle sanzioni disciplinari illegittime è un comportamento che può integrare la fattispecie di mobbing.

La Corte ha infatti confermato la decisione della Corte d’Appello di L’Aquila che ha dichiarato l’illegittimità di cinque provvedimenti disciplinari irrogati a un medico veterinario dall’istituto per cui lavorava, oltre a condannare lo stesso istituto a risarcire il sanitario del danno differenziale derivante dalla condotta vessatoria posta in essere nei suoi confronti.

– LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 26 settembre 2017 n. 22375

E’ illegittimo il licenziamento del lavoratore che ha denunciato il proprio capo, anche se la denuncia è infondata; secondo la Cassazione; infatti, deve emergere il carattere calunnioso della denuncia sporta dal dipendente o la consapevolezza della insussistenza dell’illecito.

A dimostrare il carattere calunnioso della denuncia, inoltre, non basta di per sé sola la circostanza che questa si riveli infondata e che il procedimento penale venga definito con l’archiviazione della notitia criminis o con la sentenza di assoluzione, ma il lavoratore deve anche essersi astenuto da iniziative volte a dare pubblicità a quanto portato a conoscenza delle autorità competenti.

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