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Rassegna giurisprudenziale 21 giugno 2017, a cura di Martina Costantino

12.03.2021 | News

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– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE E FACEBOOK –

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 31 maggio 2017, n. 13799.

Il caso su cui la Corte si è pronunciata inerisce un licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo per difetto d’illiceità della condotta. In particolare, i giudici hanno ritenuto non diffamatorie le espressioni pubblicate su Facebook da un dipendente nei confronti del legale rappresentante della società datrice di lavoro. La Cassazione, riprendendo la pronuncia n. 20540/2015, torna a chiarire che l’insussistenza del fatto contestato, di cui all’art. 18 Stat. Lav., come modificato dall’art. 1, comma 42, della I. n. 92 del 2012, comprende l’ipotesi del fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, sicché (anche) in tale ipotesi si applica la tutela reintegratoria, senza che rilevi la diversa questione della proporzionalità tra sanzione espulsiva e fatto di modesta illiceità. «L’assenza di illiceità di un fatto materiale pur sussistente, deve essere ricondotto all’ipotesi, che prevede la reintegra nel posto di lavoro, dell’insussistenza del fatto contestato, mentre la minore o maggiore gravità (o lievità) del fatto contestato e ritenuto sussistente, implicando un giudizio di proporzionalità, non consente l’applicazione della tutela cd. reale».

– LICENZIAMENTO DISCIPLINARE  –

Tribunale di Nola, 18 maggio 2017[1].

Il caso è relativo al licenziamento di un lavoratore, rappresentante sindacale, che ha denunciato alle autorità pubbliche alcune condotte aziendali che riteneva lesive della sicurezza e salute dei dipendenti. Il giudice di prima istanza ha ritenuto non giustificato tale licenziamento per insussistenza del fatto contestato. Infatti, fatta salva l’ipotesi in cui la segnalazione abbia intento calunnioso, non si può ritenere che l’obbligo di fedeltà imponga al lavoratore un atteggiamento reticente.

– OBBLIGO DI REPECHAGE –

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 31 maggio 2017, n. 13809.

Nella prospettiva del repechage la Corte di Cassazione ha più volte ribadito che «il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è di per sé solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti a un rapporto di lavoro subordinato, formalmente intercorso fra un lavoratore ed una di esse, si debbano estendere anche all’altra, a meno che non sussista una situazione che consenta di ravvisare un unico centro di imputazione del rapporto di lavoro». Il principio deve valere anche nel caso in cui l’impresa sostenga di avere soddisfatto l’obbligo gravante sulla medesima mediante l’offerta di ricollocazione del lavoratore presso soggetti estranei alla titolarità del rapporto di lavoro. I giudici, poi, proseguono, sostenendo pur non potendosi pregiudizialmente negare che l’obbligo di repêchage possa incontrare un limite nel fatto che il licenziando non abbia la capacità professionale richiesta per occupare il diverso posto di lavoro, tuttavia è evidente che ciò debba risultare da circostanze oggettivamente riscontrabili palesate dal datore di lavoro e non frutto di una mera scelta discrezionale dello stesso. «Diversamente ragionando si lascerebbe l’adempimento dell’obbligo alla volontà meramente potestativa dell’imprenditore, che potrebbe riservare la scelta a valutazioni che, in quanto occulte, non potrebbero essere sindacabili neanche nella loro effettività e veridicità. In altre parole, se l’eterogeneità del corredo di capacità e di esperienze professionali rispetto alla diversa posizione lavorativa libera in azienda può far venire meno il fondamento stesso dell’obbligo di repechage, […] tuttavia ciò non significa che si possa affidare al datore di lavoro la potestà di far operare la riallocazione su posto vacante secondo una sua valutazione meramente discrezionale, riservata e insindacabile, la quale si tradurrebbe nello svuotamento dell’obbligo di ripescaggio da ogni contenuto prescrittivo».

– SALUTE E SICUREZZA –

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 8 giugno 2017, n. 14313.

Il caso inerisce la responsabilità della P.A. per aver causato un infarto ad un tecnico di radiologia di una struttura sanitaria pubblica. Invero, è stato dimostrato che il decesso del lavoratore è stato dovuto al superlavoro a questo affidato, stante la carenza di organico del reparto. La Corte ribadisce, riprendendo anche passate pronunce sul punto, che «la responsabilità dell’imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, quando queste non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all’art. 2087 c.c., la quale impone all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte quelle misure che, secondo la particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, si rendano necessarie a tutelare l’integrità fisica dei lavoratori. Se è vero che I’art. 2087 c.c., non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva e che incombe al lavoratore lamenti di avere subito, a causa dell’attività lavorativa svolta, un danno alla salute, l’onere di provare l’esistenza di tale danno, come pure la nocività dell’ambiente o delle condizioni di lavoro, nonché il nesso tra l’uno e l’altro, è altresì vero che, ove il lavoratore abbia fornito la prova di tali circostanze, sussiste per il datore di lavoro l’onere di provare di avere adottato tutte le cautele necessarie ad impedire il verificarsi del danno e che la malattia del dipendente non è ricollegabile alla inosservanza di tali obblighi».

– TRASFERIMENTO E L. 104 –

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 maggio 2017, n. 12729.

 

Il caso riguarda il trasferimento di un lavoratore che usufruiva della L. 104/1992 per l’assistenza di un familiare disabile convivente. La corte ricorda che «la disposizione dell’art. 33, comma 5, della legge n. 104 del 1992, laddove vieta di trasferire, senza consenso, il lavoratore che assiste con continuità un familiare disabile convivente, deve essere interpretata in termini costituzionalmente orientati in funzione della tutela della persona disabile, sicché il trasferimento del lavoratore è vietato anche quando la disabilità del familiare, che egli assiste, non si configuri come grave, a meno che il datore di lavoro, a fronte della natura e del grado di infermità psico-fisica di quello, provi la sussistenza di esigenze aziendali effettive e urgenti, insuscettibili di essere altrimenti soddisfatte».

– ETA’ PENSIONABILE TERSICOREI E BALLERINI –

D.L. 30 aprile 2010, n. 64.

Possibili profili discriminatori sull’età pensionabile dei lavoratori dello spettacolo.

Il D.L. n. 64/2010, convertito dalla L. 100/2010, e concernente “Disposizioni urgenti in materia di spettacolo e attività culturali”, modifica l’età pensionabile per i tersicorei ed i ballerini all’art. 3, comma 7. In particolare, è disposto che per i lavoratori dello spettacolo appartenenti alle suddette categorie «l’età pensionabile è fissata per uomini e donne al compimento del quarantacinquesimo anno di età anagrafica, con l’impiego, per i lavoratori cui si applica integralmente il sistema contributivo o misto, del coefficiente di trasformazione di cui all’articolo 1, comma 6, della legge 8 agosto 1995, n. 335, relativo all’età inferiore». Stante lo specifico riferimento al sesso e all’età, la norma potrebbe essere in contrasto con il principio di non discriminazione sancito dagli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché con l’art. 157 TFUE e con la Direttiva 2006/54/CE. È pertanto opportuno il rinvio pregiudiziale della questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

– NOVITA’: L. 81/2017 –

Legge 22 maggio 2017, n. 81.

È stata Pubblica in Gazzetta Ufficiale la L. 22 maggio 2017, n. 81 recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”. La legge prevede specifiche disposizioni da applicarsi ai rapporti di lavoro autonomo di cui al titolo III del libro V cod. civ., ivi inclusi quelli che hanno una disciplina particolare ai sensi dell’art. 2222 cod. civ., rimanendo invece esclusi gli imprenditori, compresi i piccoli imprenditori di cui all’art. 2083 cod. civ. Inoltre la legge promuove il lavoro agile quale modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato allo scopo di incrementare la competitività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

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