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Rassegna giurisprudenziale 5 settembre 2018, a cura di Monica Serra

15.03.2021 | News

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– DEMANSIONAMENTO E ONERI PROBATORI –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 3 luglio 2018 n. 17365

Nel caso in cui il lavoratore sostenga di essere vittima di un demansionamento per inesatto adempimento dell’obbligo gravante sul datore di lavoro ex art. 2103 cod.civ., è onere del datore di lavoro dimostrare il suo esatto adempimento.

In particolare, il datore di lavoro può soddisfare tale onere probatorio in tre modi: “attraverso la prova concreta di una mancanza di demansionamento; attraverso la prova che la sua condotta è stata giustificata dal legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali o disciplinari; in base all’art. 1218 cod.civ., per impossibilità della prestazione per causa a lui non imputabile”.

– INFORTUNIO SUL LAVORO E RESPONSABILITA’ DATORIALE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 5 luglio 2018 n. 17668

Nell’esercizio della propria attività imprenditoriale, il datore di lavoro è ritenuto responsabile qualora non adotti le misure idonee a tutelare l’integrità fisica del lavoratore così come previsto da norme specifiche o, se non rinvenibili, dalla norma generale di cui all’art. 2087 cod.civ..

In particolare, quest’ultima norma si pone a chiusura del sistema antinfortunistico e, in quanto tale, è estensibile a situazioni e ipotesi non espressamente previste e disciplinate: essa è  dunque applicabile a qualsiasi situazione disfunzionale si venga a creare sul posto di lavoro, imponendo all’imprenditore l’obbligo di adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro svolto, siano necessarie per la tutela dell’integrità fisica e psichica dei lavoratori.

– CCNL APPLICATO ESTRANEO ALL’ATTIVITA’ ED EFFETTI SULLA RETRIBUZIONE

Tribunale di Firenze, sezione Lavoro, sentenza 9 gennaio 2018, est. Giud. Nuvoli[1]

L’art. 2770, comma 1, cod.civ. non è applicabile ai contratti collettivi di diritto comune, vincolanti soltanto per gli iscritti alle associazioni stipulanti e per coloro che esplicitamente o implicitamente vi hanno aderito. Pertanto, nel caso che il datore di lavoro decida di applicare un contratto collettivo diverso dall’area merceologica dell’attività svolta, il lavoratore non può domandare l’applicazione di un diverso CCNL, ma solo considerarlo come parametro per la rivendicazione di un’equa retribuzione ex art. 36 Cost. (e per la quale si terrà conto dei minimi retributivi previsti per ciascun CCNL, esclusi compensi aggiuntivi, scatti di anzianità e mensilità ulteriori alla tredicesima).

– LICENZIAMENTO PER SUPERAMENTO DEL PERIODO DI COMPORTO E TEMPESTIVITA’ DEL RECESSO –

Tribunale di Firenze, sezione Lavoro, sentenza 13 febbraio 2018, est. Giud. Gualano[2]

Non è contrario a buona fede il comportamento del datore di lavoro che decida di lasciar trascorrere un certo lasso di tempo tra il termine del periodo di comporto e l’atto di licenziamento, al fine dei verificare l’esito della malattia.

Infatti, e contrariamente al licenziamento per motivi disciplinari – dove la tempestività del recesso è funzionale a garantire la difesa del lavoratore incolpato – nel licenziamento per superamento del periodo di comporto può essere riconosciuto al datore di lavoro un termine per effettuare una valutazione in attesa del rientro al lavoro del dipendente. Soltanto a seguito del rientro in servizio del lavoratore dopo la scadenza del periodo di comporto, l’inerzia del datore di lavoro nel disporre il licenziamento può essere indice di rinuncia a esercitare tale potere.

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 11 giugno 2018 n. 15095

In caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, nell’atto di recesso il datore di lavoro non è tenuto a specificare i giorni di assenza per malattia fruiti dal lavoratore, salvo che quest’ultimo ne faccia espressa richiesta ex art. 2 L. n. 604/1966.

Tuttavia, sulla base del principio dell’immutabilità del motivo di licenziamento, una volta che il datore di lavoro abbia specificato i giorni di assenza nella lettera di licenziamento, gli stessi non possono poi essere modificati.

– DIRITTO DI CRITICA DEL DIPENDENTE –

Corte di Cassazione, sezione Lavoro, sentenza 10 luglio 2018 n. 18176

Il diritto di critica può essere esercitato dal dipendente nei limiti della continenza e della veridicità dei fatti menzionati, assumendo rilievo l’esposizione veritiera e corretta di un fatto nel momento in cui il dipendente decida di manifestare liberamente il proprio pensiero, sia da un punto di vista formale che sostanziale.

In particolare, dal punto di vista formale i fatti narrati devono corrispondere alla verità, almeno soggettiva. Da un punto di vista sostanziale, invece, la narrazione deve avvenire in modo misurato, ossia contenuta negli spazi strettamente legati all’esercizio del diritto di critica.

– SOCIETA’ DISTINTE E APPLICABILITA’ DELL’ART. 18 –

Tribunale di Genova, sentenza 16 maggio 2018 n. 529[3]

In caso di società distinte e che secondo il dipendente possono essere ricondotte ad un unico centro d’interessi, per configurare il requisito dimensionale richiesto quale presupposto necessario all’accesso della tutela di cui all’art. 18 S.L., non sono sufficienti indici non univoci come la comunanza della sede legale o del dominio informatico, ma è necessaria la dimostrazione della sussistenza di un’unica struttura organizzativa e produttiva, con particolare riguardo all’esistenza di un indirizzo sociale comune e alle modalità concrete di interrelazione fra le varie società, anche rispetto al loro coordinamento.

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