Parlare di Disabilità e Lavoro in epoca di pandemia non è semplice e in un momento in cui il lavoro è sotto pesante attacco a causa del virus, in cui alcune persone sostengono che “è meglio morire di covid che di fame” e in cui il ‘soggetto fragile’ Giuseppe Conte tenta di porre degli argini in mezzo a un mare molto mosso ...
I lavoratori con disabilità vanno gestiti in ambito aziendale come tutti gli altri, la ‘diversità’ è un valore aggiunto anche per i normodotati.
In questi mesi si è dibattuto molto su ‘fragilità e lavoro’; i Dpcm dovrebbero dare maggiori indicazioni ed è necessario un sostanziale intervento della medicina nello stabilire dei confini all’interno dei quali muoversi per garantire più sicurezza ai lavoratori e una loro maggiore presenza al lavoro, ove e come possibile, fornendo linee guida generali a coloro che nelle specifiche realtà devono prendere delle decisioni operative a tutela dei lavoratori e delle imprese di afferenza, anche secondo il ‘buon senso’.
Si pensi, pure nella logica del ‘dopo di noi’, a come affrontano la problematica sia la società in toto, sia le associazioni di soggetti con disabilità sia le loro famiglie e quali possono essere i costi sia in termini di mancata assistenza e limitazioni alla crescita di queste persone sia quelli prettamente economici per la loro gestione (soltanto ad es. un familiare già in difficoltà economiche che deve lasciare il lavoro per assistere il congiunto, senza alcun sostegno di un servizio pubblico …).
L’attività di tutela della persona con disabilità non può essere volta a reperire per tutti i soggetti un’attività lavorativa ad ogni costo (alcuni possono essere avviati a cooperative sociali di tipo A con finalità di socializzazione e terapeutiche) e l’intervento non deve essere assistenzialistico; dall’altro lato le imprese devono prendere coscienza che il cosiddetto ‘collocamento’ non è più da tempo definito ‘obbligatorio’ ma ‘avviamento mirato’, con diverse opportunità.
In occasione dell’avviamento lavorativo vanno valutate alcune criticità per i lavoratori con difficoltà: progettazione dei posti di lavoro, pericolosità dei compiti specifici delle mansioni, barriere architettoniche, orari di lavoro,emergenze, pendolarismo (spostamenti casa-lavoro), disagio ed emarginazione, isolamento, servizi igienici e mense.
Un intervento su di queste deve presupporre una rete trasversale fra le figure aziendali coinvolte (datori di lavoro, dirigenti, preposti, medici competenti, RSPP, RRLLS, servizi risorse umane ed anche colleghi di lavoro) e pure con entità esterne alle imprese (istituzioni ed enti diversi per l’avviamento lavorativo mirato, servizi di medicina del lavoro territoriali e ospedalieri).
Si fa riferimento, infine, a due figure che possono essere cruciali nel caso in cui in azienda sia presente un soggetto con disabilità: il ‘Tutor Aziendale’ che affianca e aiuta il soggetto con disabilità in situazioni di emergenza con lo scopo di assisterlo con efficacia; il suo compito è limitato all’affiancamento e non comprende il soccorso che è demandato all’intervento di un professionista; l’altra figura di interesse è il Disability o Diversity Manager, persona ‘responsabile dell'inserimento lavorativo nei luoghi di lavoro’, con compiti di predisposizione di progetti personalizzati per le persone con disabilità e di risoluzione dei problemi legati alle condizioni di lavoro di questi soggetti.
Ma perché questo ‘ideale di sistema’ prenda forma e abbia un riscontro concreto nelle realtà aziendali è necessario porre attenzione e suggerire interventi che favoriscano :
La gestione della disabilità in azienda non deve e non può ricadere soltanto sull’impresa, ma investe la società nel suo complesso e le strutture / enti deputati ai diversi passaggi, così come – in ambito aziendale – deve vedere una collaborazione di tutte le figure gestionali e operative ai differenti livelli, che devono contribuire per affrontare al meglio le problematiche connesse alla presenza di lavoratori con disabilità in azienda.
Qui il link all'articolo pubblicato su ilfattoquotidiano.it